Un mese di tempo per giustificare agli occhi della Commissione europea che l’aver differito di sei mesi il pagamento della rata per le multe sullo sforamento delle quote latte non costituisce un aiuto di Stato a favore degli allevatori interessati. Questa la sfida per il Governo guidato da Mario Monti, il quale, dopo aver combattuto gli aiuti di Stato (alla Commissione dal 1999 al 2004), adesso dovrà capire se difenderne l’ulteriore aiuto ai produttori di latte inadempienti (penalizzando chi ha saldato regolarmente il proprio conto) oppure se smentire l’operato del legislatore pre Governo “tecnico”.



La questione nasce circa un decennio fa, con lo sforamento delle quote sul latte e sui prodotti lattiero-caseari per il periodo dal 1995/96 al 2001/02 che ha determinato una sanzione in capo ai produttori italiani. Nell’Ue, infatti, la commercializzazione di latte vaccino è soggetta a quote: ogni Stato membro dispone di due quote, una per le consegne di latte ai caseifici e una per le vendite dirette ai consumatori. Queste quote complessive sono ripartite tra i produttori (quote individuali) di ogni Stato membro. Tuttavia, la potente lobby degli agricoltori aveva convinto il generoso Stato italiano a sostituirsi a questi nel pagamento degli importi da essi dovuti all’Ue. Peccato che la Commissione aveva fatto notare come questa sostituzione nel pagamento sarebbe stato un aiuto di Stato contrario alle regole del mercato interno già in vigore sin dal Trattato di Roma.



Nel 2003 gli allora quindici ministri dell’Ue responsabili degli affari economici e finanziari (Consiglio Ecofin del 16 luglio), davanti al problema posto dal Governo italiano, avevano deciso che i produttori avrebbero saldato il debito nei confronti dello Stato italiano, equivalente a circa 1,4 miliardi di euro, mediante una rateizzazione in 14 anni senza interessi. Come non riconoscere un clamoroso successo per il Governo Berlusconi-bis il quale aveva ottenuto il sostegno anche da Francia e Germania che, se l’Italia avesse voluto (nel secondo semestre del 2003 il nostro Paese assumeva la Presidenza del Consiglio dell’Ue), rischiavano di essere multate per lo sforamento del fatidico tetto del 3% per il valore deficit/Pil? La Commissione europea (nella pubblicazione Economist Forecast, Autunno 2003) scriveva infatti nero su bianco che il deficit pubblico nel 2002 e nel 2003 era rispettivamente -3,5% e – 4,2% per la Germania, e -3,1% e -4,2% per la Francia (l’Italia poteva “vantare” un -2,3% per il 2002 e un -2,6% per il 2003).



Con quell’accordo si era trovata una soluzione eccezionale per regolarizzare definitivamente i problemi italiani con lo sforamento delle quote latte. Ma l’anno scorso la Commissione ha notato un’anomalia: un comma del precedente Milleproroghe (legge 10 del 26 febbraio 2011) con il quale si permette ai produttori che non avevano pagato la rata del 31 dicembre 2010, di farlo entro il 30 giugno 2011. Sei mesi di respiro con il quale il comma cerca “di fare fronte alla grave crisi in cui versa il settore lattiero-caseario”, ma ottiene sia l’irritazione dei diligenti produttori che avevano già pagato puntualmente la loro rata, sia l’attenzione della Commissione, che il 10 febbraio pubblica sulla Gazzetta Ufficiale dell’Ue l’avvio del procedimento formale di esame.

Secondo quanto dichiarato dalla Commissione, le informazioni già fornite dall’allora Governo Berlusconi quater il 24 giugno 2011 sul comma “sospetto” non permettono di valutare la correttezza della difesa italiana, secondo la quale il beneficio finanziario per ciascun produttore coinvolto, derivante da uno slittamento di sei mesi della scadenza di pagamento, rientra sotto la soglia di aiuto definito de minimis, ovvero quell’importo che, in quanto modesto, non altera gli equilibri commerciali nel mercato interno e non richiede un’approvazione preventiva dal parte della Commissione europea. Tuttavia, seppur in assenza di sufficienti informazioni, la Commissione ritiene che tale proroga di pagamento si aggiunge all’aiuto già approvato dal Consiglio nel 2003 che, per la sua natura e il suo carattere eccezionale, va considerato come “un aiuto unico massimo non cumulabile con nessun altro tipo di intervento”.

Il conto alla rovescia è già partito e la Commissione attende una risposta entro il 10 marzo da parte del nostro Governo, il quale difficilmente potrà giustificare un aiuto che ha tutte le caratteristiche di illegalità: soldi dei contribuenti destinati a migliorare la situazione finanziaria di alcuni produttori senza contribuire in alcun modo allo sviluppo del settore. Un settore che tuttavia sta soffrendo e che, nonostante gli interventi dell’Ue nel 2009 (un pacchetto di aiuti di 280 milioni di euro e la possibilità, per ciascuno Stato, di aiutare ciascun produttore di latte con un contributo pari a 15.000 euro), continua ad andare avanti tra prezzi del latte sempre più volatili, quote nazionali sforate (i produttori italiani non sono gli unici a produrre più di quanto previsto dall’Ue) e frodi (la più recente quella di due persone condannate dal tribunale di Pordenone in quanto colpevoli di aver evaso circa 20 milioni di euro nell’ambito del regime delle quote latte).

Oltre che sui temi di natura finanziaria, Mario Monti sarà chiamato a salvare l’Ue anche sul fronte agricolo?