Un atto, non certo l’ultimo, della drammatica vicenda dell’indebitamento della Grecia si sta dipanando di fronte ai nostri occhi mentre stiamo preparando il Piano nazionale di riforme (Pnr) 2012. Non è soltanto il negoziato sul debito greco che fa da fondale alla preparazione dei Pnr (dell’Italia e degli altri). Anche il Portogallo è in guai seri con crescita zero, ove non sottoterra, da almeno dieci anni e il rapporto debito/Pil in ascesa a ragione principalmente della contrazione del reddito nazionale. La Spagna pareva avesse trovato la strada, ma domenica scorsa ci sono state manifestazioni in 87 città contro la normativa di riforma del mercato del lavoro e si annuncia uno sciopero generale. L’Irlanda non è più sulle prime pagine dei giornali, ma i problemi sono ben lungi da essere risolti.



Non è forse il momento di andare oltre le cronache dell’eurozona per riflettere sulle lezioni da tener presente nella redazione del Pnr (nostro e altrui)? Se esaminiamo le caratteristiche delle politiche economiche che hanno caratterizzato gli ultimi vent’anni, vediamo che in quasi tutti i paesi dell’eurozona (la Germania e pochi altri sono le eccezioni) l’attenzione è stata dominata dalle politiche di bilancio di breve periodo: le “manovre” annuali per tenere “i conti pubblici in sicurezza”. La politica monetaria veniva gradualmente trasferita a organi sovranazionali. La politica dei prezzi e dei redditi (il terzo grande strumento di intervento secondo i manuali di politica economica) veniva di fatto abbandonata. E con essa l’attenzione alle politiche strutturali di lungo periodo.



Ciò è tanto più paradossale in quanto proprio in questi lustri l’integrazione economica internazionale e la perdita del monopolio del progresso tecnologico (privativa per 150 anni dell’area atlantica Europa-Nord America) avrebbero richiesto grande attenzione alle politiche strutturali che per loro natura sono di medio e lungo periodo. Ciò spiega come in molti paesi abbiano perso importanza organi come i Consigli economici e sociali (in Italia il Cnel) deputati per la loro composizione e missione alle politiche strutturali e al medio e lungo termine.

Il Pnr (non solo quello italiano) può essere l’occasione per passare dallo short-termism a una maggiore attenzione ai nodi strutturali e a come risolverli. Questo non è mai un compito che può essere assolto soltanto da Governi (specialmente se prossimi al termine della legislatura). L’ottica di medio e lungo periodo deve essere portata anche e soprattutto dalle forze produttive, da quelle che un tempo venivano chiamate la parti sociali, perché il loro apporto è cruciale per individuare i lineamenti di come affrontare un contesto internazionale in rapida trasformazione.



Ciò comporta un nuovo patto sociale sul tipo di quello del 1993? Non necessariamente. Allora il problema di fondo consisteva in come mettersi nelle condizioni di rispettare gli impegni assunti firmando il Trattato di Maastricht e fare parte del gruppo di testa dell’euro. Oggi, invece, consiste in come mettersi, e restare, su un sentiero di crescita sostenibile in una fase di profondo riassetto dell’economia internazionale in cui circa due miliardi di persone sono uscite dalla sussistenza ed entrate nell’economia moderna e sta cambiando drasticamente la struttura mondiale della produzione e dei consumi.

Se l’Europa non trova l’“efficienza adattiva” per far fronte a questa situazione, annasperà per anni impoverendosi sempre di più. Se solo una parte dell’Ue trova tale “efficienza adattiva”, l’Unione, prima o poi, si spaccherà.