Il dirigismo economico tedesco, frapposti tra sé  e il suo indiscriminato dominio, trova sempre più ostacoli. Mario Monti, il premier inglese David Cameron e i leader di altri dieci Paesi europei (del nord e del sud, della zona euro e no) hanno inviato una missiva alle istituzioni Ue, esprimendo una linea comune. Chiedendo in sostanza, di affiancare al rigore dei conti misure per la crescita. La lettera consta di otto punti in cui si suggerisce, tra le altre cose, l’apertura del mercato, la costituzione di mercati unici sui fronti energetico e digitale, la riduzione dei vincoli per le imprese e delle restrizioni nel settore dei servizi, la creazione di un sistema  bancario solido in grado di sostenere imprese e famiglie (e di non scaricare i propri rischi sui contribuenti) e il rafforzamento del commercio con Paesi come Canada, India, Russia e Sud-Est Asiatico. A proposito, gli altri dieci Paesi che hanno firmato la lettera sono: Polonia, Olanda, Estonia, Lettonia, Finlandia, Irlanda, Repubblica Ceca, Slovacchia, Spagna e Svezia. Non vi è traccia di Francia e Germania. «È uno degli aspetti in assoluto più  rilevanti della vicenda», afferma, raggiunto da ilSussidiario.net Emilio Colombo, docente di Economia internazionale presso la Bicocca di Milano. «La Francia probabilmente non ha firmato per ragioni, prevalentemente, di politica interna. Credo che non la convinca l’idea di un mercato unico energetico liberalizzato. Il Paese, infatti, de sempre adotta una politica di forte sostegno nazionale alla propria industria, che ha sempre goduto di enormi vantaggi. Dipende anche da questo la preminenza economica francese in Europa». Ovvio, quindi, che un mercato comune che la obbligasse ad aprirsi agli stranieri, non potrebbe digerirlo.

«La Germania,invece, ritiene che la crescita sia un fattore secondario rispetto al rigore di bilancio». Ma il suo modello non è applicabile agli altri Paesi. «I tedeschi hanno esperienza dello sviluppo contestuale al rigore di bilancio per il semplice fatto che sono sempre stati gli unici ad perseguire una simile politica, mentre gli altri Paesi erano in deficit di partite correnti. In pratica, la Germania esportava solo grazie al fatto che gli altri Stati europei importavano». La missiva può rappresentare un contributo allo sblocco dell’impasse. «È un modo perché l’opinione pubblica tedesca capisca che questa è l’unica strada percorribile. È nel loro stesso interesse, d’altronde, che gli altri Paesi crescano; la Germania, infatti, continua ad essere il principale esportatore europeo. Ma il suo mercato principale resta il Vecchio Continente». In tal senso, è fondamentale il capitolo dedicato al commercio estero. «Occorre promuovere l’Europa verso l’estero e non l’export dei singoli paesi in competizione l’uno con l’altro per accaparrarsi il mercato interno».  

Decisamente significativa l’adesione della Gran Bretagna. «Allora – spiega Colombo – si era sfilata dal dibattito europeo perché considerava il rigore tedesco tropo vincolante per la propria economia, governata in forte debito di bilancio (cosa che, del resto, può fare perché dispone di una banca autonoma); ma il principale elemento su cui si era trovata in difficoltà era il trattamento riservato ai mercati finanziari, con l’ipotesi di introdurre una Tobin Tax». Considerando che la City crea il 9 per cento del Pil del Regno Unito, la proposta non la entusiasmava. «Ma sul resto, in particolare sui punti espressi nella lettera, si è sempre trovata in linea con gli altri Paesi europei, specialmente con il nostro».

(Paolo Nessi)