L’Eurogruppo la scorsa notte ha raggiunto un accordo per sbloccare la nuova tranche di aiuti per la Grecia da 130 miliardi di euro, in cambio di un sostanziale commissariamento di Atene. Eppure, secondo Marco Fortis, economista e vicepresidente della Fondazione Edison, si vive all’insegna della grande incertezza. Non serve nemmeno a migliorare le cose la lettera firmata da dodici paesi europei (tra cui Italia e Gran Bretagna, ma non Francia e Germania), e presentata allo stesso Eurogruppo, in cui si chiedono sforzi a livello comunitario per favorire lo sviluppo e la crescita dell’economia attraverso otto priorità.



Professore, innanzitutto cosa pensa dell’accordo raggiunto sulla Grecia?

La Grecia è un Paese in ginocchio ed è difficile immaginare uno scenario di correzione economica significativa. In più, è evidente, che le ripercussioni sociali sono impossibili da prevedere. Occorrerà vedere che cosa accadrà. Poi, siamo al solito discorso di fondo, che consiste nel come mettere in atto delle misure per la crescita. Ma questo vale più che mai per tutta l’Europa.



A questo proposito va registrata la lettera dei dodici paesi europei centrata su otto priorità per la crescita. Un documento che non è stato però siglato da Francia e Germania.

La Francia in questi anni non ha liberalizzato nulla, non ha fatto nulla. La Germania, che è sempre l’alfiere di una politica di rigore e austerità, non ha affatto una finanza molto trasparente. Sta mettendo in sicurezza le sue banche dopo aver fatto “prelievi” da altri Paesi, attirando capitali con i suoi Bund, diventati ormai quasi un bene rifugio. Il documento firmato dai dodici Paese non provocherà di certo cose sensazionali. Ma è stato giusto farlo e sottoscriverlo.



Per quale ragione?

Perché finalmente si mettono le carte in tavola e questo è importante anche in una futura trattativa complessiva. Tra tutti è interessante l’ottavo punto del documento, dove si specifica che le banche e non i contribuenti devono sostenere i rischi che corrono. Ripeto, dopo questo documento, non succederà nulla di sconvolgente, ma è bene chiarire, una volta per tutte, che alcuni paesi hanno fatto gli “scaltri”, e altri sono rimasti con il cerino in mano. Questo è giusto sottolinearlo.

Che futuro dobbiamo aspettarci a questo punto?

Un futuro carico di incertezza e di difficoltà, non solo per l’Europa, ma per tutto l’Occidente, anche per l’America. Quello che sta avvenendo non è una diretta conseguenza di questi ultimi anni. Bisognerebbe parlare di quando l’Occidente ha cominciato a cedere quote di lavoro ai paesi emergenti. Dimenticando un fatto fondamentale: è il lavoro la vera fonte di ricchezza, l’economia reale. A un certo punto hanno ceduto troppe quote di lavoro. Si voleva sostituire il manifatturiero con il terziario avanzato e si è cominciato a vendere “patacche” finanziarie. Si è creata così una ricchezza fittizia e questo porta oggi, dopo la crisi, a non poter neppure finanziare il debito della Grecia. Perché la ricchezza fittizia è saltata per aria con la grande crisi finanziaria.

 

Il problema è che a questo punto, tra “scaltrezze”, accordi sofferti, documenti che alcuni firmano e altri no, si vede non solo incertezza, ma anche diffidenza reciproca.

 

A questo punto si può persino aggiungere che occorre diffidare anche degli indicatori economici. Guardandosi un po’ in giro e ascoltando, ogni tanto si sente dire da un Paese che ha risolto i suoi problemi. Sembra che qualcuno si rivolga direttamente ai mercati per confortarli, per dire loro quello che si aspettano di sentire. Come è possibile orientarsi in una simile situazione? È inevitabile pensare che siamo entrati in una fase di grandissima incertezza.

 

(Gianluigi Da Rold)

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