Il cimento pare bazzecola, ma attenzione: a toccare l’architettura fiscale, si rischia di fare danni molto seri. Il governo ha una serie di colpi in canna che, a seconda di come aggiusterà il tiro, potrebbero determinare effetti benefici, lambire di striscio alcuni redditi o fare una strage. C’è la questione, anzitutto, dell’abbattimento della prima aliquota Irpef, dal 23% al 20%. Pare una notizia positiva. Ma la riduzione sarebbe effettuata contestualmente a una serie di aggravi tali per cui, il carico finale, potrebbe rimanere invariato o appesantirsi. Ci sono, ad esempio, 720 agevolazioni fiscali che il governo vuol falcidiare. «Non è chiaro se si intenda sopprimere solamente quelle per le imprese – o parte di esse – o anche quelle che previste per le famiglie. Nel secondo caso, effettivamente, si produrrebbe per esse un effetto negativo. Finché, tuttavia, il governo non si esprimerà dettagliatamente, non sarà possibile dare un giudizio definitivo su eventuali costi aggiuntivi o vantaggi che potrebbero derivare da questa operazione», afferma, raggiunto da ilSussidiario.net Carlo Buratti, professore di Scienza delle finanze presso l’Università di Padova.
«Da quanto par di capire – aggiunge – si procederà, sostanzialmente, a una ridistribuzione del gettito. Di sicuro, quindi, avverrà un rimescolamento di posizioni. Alcuni, in sostanza, ci guadagneranno, altri ci perderanno». Nel frattempo, i Comuni potranno avvalersi delle Agenzie del territorio per aggiornare gli estimi catastali. «Ormai non riflettono più la dinamica effettiva dei redditi immobiliari, dato che le ultime revisioni sono state fatta decenni fa; tuttavia, se all’ampliamento della base imponibile Imu – introdotto con un provvedimento precedente – si aggiunge la rivalutazione degli estimi, il gravame per il contribuente potrebbe effettivamente diventare eccessivo». Ma l’intervento più pericoloso resta la rimodulazione delle aliquote Irpef. L’idea è quella di prevedere tre scaglioni, al 20%, 30% e 40%. «Da sempre la letteratura è densa di articoli e discussioni sulla convenienza di avere pochi scaglioni o molti. È prevalsa l’idea che pochi scaglioni rendano l’imposta più chiara, perché un contribuente, in genere, si colloca nel medesimo tutta la vita, specie se svolge un lavoro dipendente», spiega il professore.
«Questo – continua – dovrebbe agevolare e rendere più efficienti le scelte fatte dai contribuenti, sia dal punto di vista del lavoro (ad esempio chi decide di farne un secondo sa che, con ogni probabilità, resterà nello stesso scaglione) che degli investimenti». Restano diversi inconvenienti non da poco: «chi sta a margine dello scaglione, per pochi spiccioli potrebbe trovarsi in quello più alto, con un esborso decisamente maggiore. Ma, per capire per quanti si determinerà effettivametne tale penalizzazione occorrerà, occorrerrà fare dei calcoli ben precisi, attualmente non disponibili».
(Paolo Nessi)