Nonostante le apparenze, sulle tasse gli italiani rischiano una nuova “tranvata”. Una diminuzione della pressione fiscale sarebbe più che benefica dopo la mazzata della manovra “salva-Italia”. Lo ha ribadito anche ieri il Presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, spiegando che la prima politica pro-crescita da mettere in campo sarebbe quella fiscale, con una riduzione delle tasse per imprese e lavoratori dipendenti.
I titoli dei giornali e i proclami sembrano anticipare che venerdì, dal Consiglio dei ministri, uscirà una riforma fiscale con un abbassamento dell’aliquota più bassa dell’Irpef attraverso i proventi derivanti dalla lotta all’evasione fiscale. L’equazione sembra semplice: andiamo a recuperare quello che furbescamente qualcuno non versa (e magari si tratta di qualche abbiente con yacht e auto di lusso) per aiutare chi già fa fatica ad arrivare alla fine del mese. Roba da Robin Hood, verrebbe quasi da dire.
Attenzione, però. Il taglio delle tasse potrebbe non arrivare subito. La precedenza potrebbe infatti essere data ai conti pubblici per il raggiungimento del famoso pareggio di bilancio, previsto in teoria per l’anno prossimo. Quindi potrebbe essere, anche se il Premier Monti non è stato tassativo su questo, che il taglio dell’Irpef arrivi solo nel 2014, perché i proventi del fondo “anti-evasione” andrebbero prima utilizzati per portare a zero il saldo del bilancio pubblico. In questo caso, però, potrebbe non essere più in carica il governo tecnico. Di conseguenza, chi può garantire che poi la “sforbiciata” arrivi davvero?
Grande incertezza quindi. Anche perché in realtà il Consiglio dei ministri di venerdì potrebbe dare il via libera a nuove tasse, sbloccando una serie di imposte comunali e regionali stoppate nel 2008. Alle province sarà invece data la facoltà (sono pronto ad applaudire chi lo farà) di diminuire la tassa sul passaggio di proprietà delle automobili. Inoltre, dovrebbe anche essere dato il via all’operazione per la revisione degli estimi catastali, che si presuppone sarà al rialzo, in modo da far aumentare l’Imu di chi possiede immobili più vecchi o nei centri storici.
Va poi detto che l’eventuale abbassamento dell’aliquota Irpef dal 23% al 20% per i redditi più bassi è certamente un’operazione giusta e sacrosanta in favore di quella fascia di popolazione che, specie in una fase di crisi come questa, fa più fatica. Ma non si può far a meno di notare che è la soluzione che permette allo Stato di “rimetterci” di meno. È matematico: scalare tre punti percentuali su imponibili bassi può “costare” meno rispetto a un punto percentuale di “sconto” sui redditi medio-bassi. Per dare poi stimolo alla crescita sarebbe opportuno lasciare più risorse a disposizione anche ai contribuenti della classe media, che avrebbero così la possibilità di aumentare i loro consumi. Aspettiamo quindi venerdì per vedere se, anche con il governo tecnico, in Italia si ripeterà il classico gioco delle tre carte in cui a vincere alla fine è sempre il banco, ovvero lo Stato.