Il nuovo piano di aiuti in favore della Grecia, varato nella notte tra lunedì e martedì dall’Eurogruppo, rischia di un avere un duplice costo per l’Italia. A segnalarlo è l’economista, ed ex ministro delle Finanze, Francesco Forte: «Se l’Italia, come è altamente probabile che sia, verrà chiamata a dare il suo contribuito ad Atene attraverso il Fondo salva-Stati, dovrà versare il 17% di un importo che va dai 115 ai 130 miliardi di euro, cioè circa 20 miliardi. Il problema è che questo comporterà per noi un duplice costo».
Ci spieghi meglio.
L’Italia ha già contribuito al precedente prestito concesso alla Grecia. E già allora quell’importo è andato ad accrescere il nostro indebitamento. Con questa nuova tranche, che è di un importo superiore all’1% del Pil, rischiamo di vedere salire il nostro rapporto debito/Pil oltre il 121%. Si tratta di soldi che con tutta probabilità recupereremo, ma resta il fatto che non si tratta di un buon segnale in vista del Fiscal Compact che ci impone un rientro graduale verso il 60%.
C’è un modo per evitare questo effetto?
Basterebbe riconoscere che dal punto di vista contabile si tratta di una partita di giro, perché a quella uscita corrisponde anche un credito della stessa natura. Se si utilizzasse il sistema americano di calcolo del debito, il problema non ci sarebbe. Penso quindi che il governo italiano dovrebbe esplicitamente chiedere che la quota versata non venga considerata nel computo del debito pubblico.
Ha parlato prima di un duplice costo. Se questo è il primo, qual è l’altro?
Il prestito alla Grecia viene fatto al 4%. Ma l’Italia al momento si finanzia sul mercato al 5,5%. Questa differenza determina una perdita di circa 300 milioni l’anno. A meno che non vi sia nel tempo una diminuzione del tasso per il nostro finanziamento. A questa nostra situazione si contrappone quella della Germania che invece avrà un guadagno dal prestito, dato che il suo costo di rifinanziamento è molto basso. Un affare che però non è il più grande che i tedeschi hanno fatto sulla questione greca.
In che senso?
Se la Germania ha aspettato tutto questo tempo per dare il via libera al salvataggio di Atene non è tanto per lentezza o incapacità. È stato un modo per guadagnare tempo e fare in modo che le banche tedesche potessero vendere i titoli greci che avevano in portafoglio, seppur con qualche minusvalenza. Inoltre, l’indebolimento dell’Europa ha resto forte la Germania e così il Bund è diventato una sorta di bene rifugio, cosa che ha praticamente azzerato i costi di rifinanziamento per Berlino. Nel frattempo, la Grecia è stata sottoposta a una “tortura” e oggi si trova in una crisi strutturale da cui sarà difficile uscire.
Secondo lei, il rischio di contagio è scongiurato?
Se ce si fosse mossi prima, in Italia non ci saremmo ammalati. Non abbiamo contratto la peste, ma una specie di tubercolosi, dalla quale dovremo guarire. Certo è che se non si fosse arrivati a questo accordo, il nostro spread sarebbe tornato a quota 500. Tuttavia, il pericolo non è scampato. È stato lanciato un messaggio chiaro per cui un Paese in crisi non viene “espulso” dall’euro. Ma bisognerà fare in modo che non ci siano nuovi tentennamenti: la speculazione non aspetta altro.
Cosa dovrà fare l’Europa per evitare problemi?
Questo accordo creerà senz’altro malumori tra greci, se non un sentimento di odio verso l’Ue. I sacrifici saranno imposti ed eseguiti con malvolere. Nell’Europa sembra purtroppo mancare uno schema di solidarietà “ragionevole”. È come un modello cooperativo dove però non c’è mutualità. Questo si vede anche nel Fiscal Compact, dove tutta l’attenzione sembra posta sul rigore dei conti.
Cosa dovrebbe fare invece il governo italiano?
L’opinione pubblica non sembra essersi accorta del costo di questo salvataggio. Per questo il governo dovrebbe far sapere come stanno esattamente le cose. Nell’ipotesi in cui anche l’Italia debba contribuire al Fondo salva-stati, possiamo certamente sostenere quella perdita di 300 milioni l’anno. Ma non è assolutamente sopportabile il fatto che quei 20 miliardi andranno ad aumentare il nostro debito pubblico. L’ideale sarebbe quindi impegnarsi a dare la propria quota dietro la promessa che questa non andrà a peggiorare gli indici macroeconomici del nostro Paese. Su questo il governo dovrebbe impegnarsi fortemente.
(Lorenzo Torrisi)