«Mi pare che la Commissione confermi sostanzialmente le previsioni elaborate nell’ultimo mese da tutti gli organismi nazionali e internazionali. Si va verso un periodo di leggera recessione per l’area euro, di sostanziale stagnazione per l’Ue e di recessione molto più pronunciata per l’Italia.  Per il nostro Paese si prevede purtroppo una delle performance peggiori, con un calo del prodotto dell’1,3% (peggio di noi fanno solo Grecia con -4,4% e Portogallo con -3,3%). Peraltro solo un mese fa la Banca d’Italia prevedeva un calo del prodotto ancora più pronunciato (-1,5%)». Questo il commento di Giovanni Marseguerra, professore di Economia politica presso l’Università Cattolica alla previsione, fatta dalla Commissione europea, di un calo dell’1,3% del Prodotto interno lordo italiano nel corso del 2012.



Professore, la precedente stima era fissata a un +0,1%, mentre questa è corretta al ribasso fino al -1,3%. Come è possibile?

Credo che la risposta vada cercata principalmente nelle forti tensioni che a partire dall’estate scorsa hanno colpito i mercati del debito sovrano della zona euro in generale e di quello italiano in modo particolare. Questo ha tra l’altro causato un forte restringimento delle condizioni creditizie per il settore privato, una conseguente riduzione degli investimenti delle imprese e un calo complessivo della domanda. Purtroppo abbiamo ormai imparato come il deterioramento della fiducia imponga costi elevati.



Le previsioni dicono anche che l’economia italiana dovrebbe stabilizzarsi nella seconda metà dell’anno, ”purché non ci siano ulteriori deterioramenti delle condizioni dei mercati finanziari e il differenziale con i bund tedeschi resti stabile attorno ai 370 punti”. Cosa ne pensa?

È a mio avviso essenziale che lo spread si stabilizzi ai valori delle ultime settimane (o anche meno auspicabilmente). Non solo perché altrimenti rischiamo di non raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013 a causa dei maggiori interessi sul debito (il che sarebbe comunque un disastro), ma anche perché un livello alto dello spread, attraverso il conseguente razionamento del credito, porta a rinviare i consumi più cospicui e gli investimenti privati. E senza investimenti non si esce dalla crisi.



Ci sono le condizioni affinché il livello dello spread resti basso?

In questo credo che le decisioni politiche saranno decisive. A livello nazionale, e basta vedere di quanto sia sceso nel nostro Paese lo spread rispetto ai massimi di fine anno in conseguenza del cambio di Governo, e anche livello sovra-nazionale, ovvero di coordinamento intergovernativo tra Paesi europei. Molto rilevante sarà in proposito come si concluderà la tragedia greca.

Peggio di noi solo Grecia e Portogallo. Cosa ha in più, per esempio, la Spagna?

Nulla dal punto di vista della struttura produttiva e della capacità imprenditoriale. Ha però un Governo in carica che è stato appena eletto e che governerà per un’intera legislatura con una larga maggioranza. La politica, come abbiamo visto, conta.

Il centro studi di Confindustria stima “un’accentuazione della caduta del Pil italiano nel primo trimestre, complice il maltempo”. Come si può spiegare? 

Può sembrare una notazione di colore, ma rivela invece un fatto concreto. Il maltempo costa. E anche tanto. Vanno considerati non solo i danni causati  direttamente, ma anche il fermo delle attività nel settore agricolo, industriale e dei servizi, anche pubblici. In questi casi il settore più colpito è ovviamente quello agroalimentare, che subisce perdite lungo tutta la filiera (agricoltura, industria alimentare, distribuzione, trasporti, ecc.), ma anche le attività manifatturiere collocate nelle aree colpite dal maltempo subiscono danni pesanti (blocco delle attività, crollo di capannoni, distruzione di macchinari, ecc.). A tutto questo poi nell’ultima ondata di maltempo bisogna aggiungere i danni agli allevamenti, con la morte di mucche, pecore, cavalli, conigli e polli, a causa delle tantissime stalle crollate. La stessa consegna dei mangimi necessari per l’alimentazione è stata per molti giorni difficoltosa. L’insieme di questi effetti può essere valutato complessivamente e misurato sotto forma di perdita di punti di Pil. E’ esattamente quanto fa il Centro studi di Confindustria.

 

Secondo Monti, non occorrerà una nuova manovra per conseguire l’obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013. È d’accordo?

 

Difficile dirlo. Lo speriamo tutti ovviamente, ma le variabili che possono influenzare il risultato del pareggio di bilancio sono davvero tante e per molte di queste vi è grande incertezza relativamente all’andamento da qui al 2013.

 

Significa allora che vedremo solo più tardi i frutti dei tagli e delle manovre attuate adesso?

 

I frutti delle quattro manovre del 2011 li stiamo già vedendo oggi, con la riduzione dello spread. Non bisogna dimenticare che queste misure di correzione dei conti pubblici (del governo Monti e del governo Berlusconi) agiscono sui saldi 2012 e 2013 per quasi 100 miliardi di euro. Queste manovre sono state da molti considerate recessive. È vero, contengono molti elementi recessivi, se non altro perché quando si aumentano le tasse, i consumi diminuiscono.  Ma se queste manovre consentono, come sta accadendo oggi, di tenere basso lo spread e di favorire lo sblocco del credito, allora l’impatto restrittivo sarà più che compensato dagli effetti positivi.

 

Cosa serve allora per un vero rilancio?

Per uscire dalla crisi bisogna rilanciare gli investimenti. Il solo rigore, pur essenziale, non basta.  Sotto questo profilo la proposta degli Euro Union Bond di Romano Prodi e Alberto Quadrio Curzio potrebbe rivelarsi straordinariamente utile, non solo per mettere in sicurezza i debiti pubblici nazionali dei paesi dell’area euro, ma anche per  rilanciare gli investimenti pubblici e privati nelle grandi infrastrutture a rete. Connettere economia reale ed economia finanziaria è oggi essenziale  per fare crescita con politiche strutturali. Finora le enormi potenzialità di questo progetto non sono state colte, ma resta la speranza che, approvato il trattato del “Fiscal compact”, si comprenda che bisogna pensare anche allo sviluppo.

 

(Claudio Perlini)