Il Decreto Milleproroghe è stato definitivamente approvato ieri dalla Camera. Al suo interno, come abbiamo già avuto modo di spiegare su queste pagine, l’articolo 22 bis aumenta da 5 a 13 anni la moratoria in materia di contraffazione del design. «Si tratta – ci spiega Giampaolo Galli, Direttore generale di Confindustria – di una norma molto preoccupante per la politica industriale del nostro Paese. La modifica rimette ancora una volta in discussione l’azione di lotta alla contraffazione nel settore del design, autorizzando i contraffattori a proseguire fino al 2014 nella produzione e vendita di copie dei classici del design».
Con quali conseguenze?
Vengono danneggiate ingiustamente e per un periodo di tempo sproporzionato tutte le imprese, di piccole e medie dimensioni, che in questi anni hanno investito nell’innovazione e nell’originalità dei propri prodotti, contribuendo all’alta immagine di cui il design italiano gode nel mondo. Peraltro, la scelta adottata dal Parlamento non è comprensibile neanche sul piano giuridico, poiché la norma contravviene a un principio fondamentale affermato dalle convenzioni internazionali e dalle direttive comunitarie in materia di diritto d’autore, vale a dire l’applicazione di questa tutela alle opere d’arte di carattere creativo, tra cui rientra senza dubbio anche il disegno industriale. E c’è di più.
Cosa?
Risale soltanto allo scorso anno la sentenza con cui la Corte di Giustizia europea si è espressa proprio sulla normativa italiana, giudicando eccessivo un regime decennale di “contraffazione autorizzata”. In quell’occasione la Corte ha infatti ritenuto che un periodo così lungo avrebbe gravemente pregiudicato gli interessi dei creatori delle opere del design, senza trovare giustificazione alcuna nell’esigenza di proteggere i terzi in buona fede. È quindi evidente che, se è stata considerata illegittima una moratoria di dieci anni, che a oggi sarebbe comunque scaduta, a maggior ragione non è ammissibile l’innalzamento della stessa fino a tredici anni. Siamo davanti a uno scivolone che poteva e doveva essere evitato.
L’Italia rischia delle sanzioni da parte dell’Europa?
Questo è un ulteriore aspetto di particolare gravità: in virtù del palese contrasto con il diritto dell’Ue, la norma inserita nel Decreto Milleproroghe espone il nostro Paese al rischio di una procedura d’infrazione, le cui conseguenze economiche ricadranno su tutti i contribuenti. È l’ultima cosa di cui ha bisogno l’Italia, in un momento in cui lo sforzo di tutti deve essere rivolto alla tenuta dei conti pubblici, alla credibilità delle scelte economiche e al rispetto delle leggi.
FederlegnoArredo e Indicam hanno dato vita a un’azione di protesta contro questa norma. Cosa pensa di questa iniziativa?
Si tratta di una presa di posizione che Confindustria condivide e appoggia pienamente, a protezione dei legittimi interessi di un settore industriale che raggruppa diverse eccellenze del nostro sistema produttivo. Ci tengo a sottolineare che durante i lavori parlamentari del Decreto Milleproproghe, Confindustria ha rappresentato in tutte le occasioni utili e nelle sedi competenti l’illegittimità della norma che sospende oltremodo la tutela d’autore. Insieme a FederlegnoArredo, Indicam e ad altre associazioni, che rappresentano e hanno a cuore la qualità e l’originalità dei prodotti del design e del Made in Italy – penso all’Adi, alla Fondazione AltaGamma, a Sistema Moda Italia, ecc. – sono state già organizzate iniziative congiunte sulla questione ed è ora ancora più importante rafforzare l’impegno comune per richiedere con urgenza che quest’assurda norma venga cancellata.
In che modo?
Occorre, in altri termini, ripristinare l’originario regime quinquennale di moratoria, il quale, come affermato anche dalla Corte di Giustizia europea, è ampiamente sufficiente a salvaguardare le ragioni economiche dei produttori di copie. Per supportare le leve competitive dell’industria nazionale, come quella del design, la strada corretta è favorire la competizione basata sull’originalità delle creazioni, e non misure di assistenza e tolleranza nei confronti di iniziative economiche prive di apporti innovativi che, in passato, in questo come in molti altri campi si sono rivelate fallimentari.
Confindustria ha già organizzato due Giornate nazionali anticontraffazione. Quanto è diffuso e quali danni crea alle imprese italiane il fenomeno della contraffazione?
Il fenomeno della contraffazione ha proporzioni spaventose e arreca danni enormi non solo alle imprese italiane, ma anche ai consumatori e all’economia complessiva del Paese. Basti pensare che nel 2010 l’Agenzia delle Dogane ha sequestrato 15 milioni di prodotti, mentre la Guardia di Finanza ha requisito oltre 110 milioni di oggetti, una buona quota dei quali realizzati proprio all’interno dei nostri confini (come avviene con le copie del design). In termini economici, le indagini disponibili ci dicono che il valore del mercato interno del falso supera solo in Italia i 7 miliardi di euro, mentre, se si riuscisse a riportarlo su binari legali, si genererebbe una produzione aggiuntiva, diretta e indotta, per un valore di quasi 18 miliardi di euro e un valore aggiunto complessivo di circa 6 miliardi di euro. Addirittura, secondo le stime del Censis, il superamento della contraffazione garantirebbe circa 130 mila unità di lavoro aggiuntive. E c’è dell’altro.
Dica.
Le attività contraffattive, sfuggendo ai circuiti dell’economia “legale”, generano ulteriori perdite per il bilancio dello Stato in termini di mancate entrate fiscali: tra imposte dirette e indirette, si stima una perdita di oltre 5 miliardi di euro. Ciò senza considerare che il Governo deve destinare risorse all’attuazione di efficaci misure anti-contraffazione, quali il mantenimento e il rafforzamento delle strutture di controllo, i costi dei procedimenti giudiziari, le campagne di sensibilizzazione pubblica. Al di là dei numeri, già di per sé impressionanti, la questione della lotta alla contraffazione è cruciale perché non riguarda poche società multinazionali o élite produttive contrapposte a una miriade di piccole realtà imprenditoriali, bensì un gran numero di piccole e medie imprese diffuse su tutto il territorio nazionale, che hanno scelto, con i loro investimenti, di anticipare il progresso e investire nell’innovazione.
Effettivamente, uno dei punti di forza delle eccellenze del nostro Paese è la continua innovazione, in cui il design ricopre un ruolo importante. Quali conseguenze pensa che possa avere la norma sugli investimenti delle imprese?
Gli effetti di questa modifica sono molto negativi e penalizzanti per tutto il sistema produttivo che opera nella legalità. Il design è infatti uno strumento competitivo e una leva di innovazione, ma solo se i suoi frutti vengono adeguatamente tutelati. Il diritto d’autore sul design premia l’azienda all’avanguardia con un consistente vantaggio competitivo, in quanto obbliga i concorrenti a negoziare con la stessa azienda la licenza del prodotto ovvero a sviluppare internamente delle proprie soluzioni alternative. Questa dinamica virtuosa beneficia la qualità complessiva dei prodotti offerti sul mercato e, quindi, gli stessi consumatori. Creare un oggetto originale presuppone inventiva, ricerca, comunicazione e tentativi che si protraggono negli anni, investimenti che possono essere sostenuti solo nella prospettiva della futura protezione dei risultati positivi, una volta che essi siano stati raggiunti e abbiano avuto il riconoscimento del mercato.
Cosa che l’articolo 22 bis del Milleproroghe non garantisce.
La nuova disciplina priverà della remunerazione degli investimenti, per un periodo di tempo sproporzionato, le eccellenze italiane del settore del design che hanno fatto della creatività il core business, mentre legittimerà attività di free riding da parte dei concorrenti parassitari. Le conseguenze dell’allungamento del termine della moratoria saranno dannose non solo in termini di diminuzione degli investimenti da parte delle imprese, ma anche per l’economia e la credibilità del Paese, all’interno dei confini nazionali, ma soprattutto all’estero. Oggi l’Italia è famosa nel mondo per il ruolo riconosciuto ai designer, per la citazione del loro nome accanto a quello del prodotto, per il racconto che il design italiano ha saputo creare intorno agli oggetti.
Una peculiarità che le nostre imprese rischiano quindi di perdere.
Questo primato, che ci riempie di orgoglio e ci permette di costituire un polo di attrazione di talenti ed eccellenze, anche straniere, rischia di essere messo in crisi dalla scelta del Parlamento. Al contrario, ci tengo a ribadire che l’unica scelta che l’Italia può davvero permettersi nell’attuale momento di crisi è di promuovere un modello di sviluppo che premi la qualità e l’originalità, anche attraverso la piena tutela del design, e non un modello basato su misure di favore nei confronti dei contraffattori.
(Lorenzo Torrisi)