Abbiamo fatto bene, anzi benino. Ma dobbiamo far molto di più. Questa la sintesi del giudizio espresso dall’Ocse che, nel suo rapporto sulla crescita mondiale, ha dedicato una scheda anche all’Italia. Ci siamo, tutto sommato, distinti su materie come la decentralizzazione dei salari, o su misure come la cassa integrazione guadagni (che hanno contribuito alla protezione sociale dei disoccupati). Ci restano, tra le altre cose, da ridurre gli ostacoli normativi alla concorrenza, ammorbidire le tutele sul posto fisso, procedere con coraggio sulle liberalizzazioni e sulle privatizzazioni; in particolare, di trasporti, servizi, energia e tv. Ovvero, della Rai. Se ne parla da decenni ma, di volta in volta, l’ipotesi ha trovato innanzi ostacoli insormontabili. Eppure, spiega Massimiliano Trovato, l’operazione non potrebbe che rappresentare un beneficio per i cittadini.
Cosa ne pensa dell’invito dell’Ocse?
Proprio in questi giorni, con le polemiche relative all’estensione del canone per i computer e i cellulari di nuova generazione, abbiamo avuto la prova dell’odiosità del tributo. C’è da chiedersi se abbia ancora senso, nel 2012, in un momento storico in cui non c’è la necessità di alfabetizzare la popolazione e in cui le informazioni sono a disposizione di chiunque attraverso i più svariati mezzi, se abbia ancora senso la proprietà pubblica di un operatore televisivo.
Crede che svolga ancora, quantomeno, quel ruolo culturale che le si attribuiva un tempo?
Mi sembra chiaro di no. Oramai, anche un operatore pubblico fa televisione con gli stessi identici criteri di quello privato. Tanto più se sono considerati fiori all’occhiello del servizio pubblico eventi come Sanremo, dove sono spese risorse ingenti che potrebbero essere meglio impiegate. O se tra i programmi annoverati nel palinsesto vi sono soap opera come Un posto al sole.
E’ l’approfondimento politico?
Purtroppo, è rimasta la vera ragion d’esser della Rai: fungere da cassa di risonanza per i partiti e gli esponenti politici. Ci troviamo a considerare come forma di libertà d’espressione quella perversione – perché di questo si tratta – che è la lottizzazione. In pratica, il servizio pubblico riconosce di non essere in grado di garantire la libertà dell’informazione e conferisce a ciascun partito una fetta di visibilità per compensarla. Ma due torti non fanno una ragione.
Com’è la situazione negli altri Paesi?
La presenza di un operatore pubblico forte non è una prerogativa esclusivamente italiana. Si può discutere sulla qualità dell’offerta o sull’entità del finanziamento – in Spagna, ad esempio, è finanziato con la fiscalità generale in modo, tutto sommato più trasparente rispetto all’utilizzo del canone; di sicuro, in Italia, c’è un evidente duopolio che negli altri Paesi non c’è, sebbene con lo sviluppo della tv satellitare e del digitale la situazione sia migliorata. Occorre ammettere, del resto, che in Italia, in determinate fasi storiche, l’operatore privato è coinciso con quello pubblico.
Qualcuno potrebbe obiettare che vendere la Rai potrebbe darla in pasto ai soliti noti
E’ evidente come la missione del servizio pubblico televisivo non sia stata soddisfatta da almeno 15 anni, quindi è difficile nascondersi dietro il paravento della garanzia pubblica. Laddove si intendesse aprire il mercato ai privati sarebbe sufficiente mettere dei paletti molto chiari.
Quali?
Al di là del fatto che i canali Rai sono tre e non è necessario venderli in blocco, è possibile escludere dalla gara coloro che già detengano delle televisioni.
Cosa implica non privatizzare?
E’ chiaro che dal punto di vista finanziario, specie in un momento come questo, sorprende la disattenzione del governo Monti sul fronte delle privatizzazioni e delle dismissioni. Tra le risorse pubbliche che non hanno più ragion d’essere tali vi è sicuramente la Rai.
Più in generale, quali benefici si potrebbero determinare per i cittadini?
Privatizzare comporrebbe l’ingresso di uno o più operatori, anche stranieri. Il che contribuirebbe ad aprire il mercato dei media italiani. Si determinerebbe un effetto prevedibile di ampliamento e miglioramento dell’offerta. Il che, già di per sé, può essere inteso come un beneficio per i cittadini. Oltre all’implementazione dei contenuti è auspicabile un cambiamento nei modelli di business. Attraverso, ad esempio, l’integrazione con internet che, per quanto riguarda Rai, Mediaset, ma anche Sky, va tutto sommato a rilento.
In sostanza, una tv ben fatta fa bene all’economia del Paese?
Non c’è dubbio. Anzitutto, fa bene al dibattito pubblico che, in Italia langue; ma anche dal punto di vista meramente economico, benché non siamo abituati a considerare i prodotti televisivi in questi termini, l’indotto sarebbe notevole.