Sotto i cieli della crisi, la partita fiscale è più che mai la cartina di tornasole dell’azione di governo. Capita negli Stati Uniti, dove il presidente Obama è più che consapevole che la buccia di banana che può compromettere la sua rielezione è legata proprio al fisco. A fine anno, infatti, scadono gli sgravi votati a suo tempo dall’Amministrazione Bush e confermati per sostenere la ripresa. Nel frattempo il debito federale Usa, nonostante tassi di interesse vicini allo zero, ha rggiunto una massa vicina al punto di non ritorno. Urge tassare di più i ricchi, cosa non facile quando si ha contro la maggioranza del Congresso.
È in questa cornice che il Presidente gioca la carta di una minor tassazione per le imprese, dal 35% al 28%, per invogliare un ritorno di investimenti in Usa. Partita complicata, visto che le corporations di Wall Street, che scoppiano di “cash” accumulato negli anni della recessione (anomalia di questa crisi, segnata dalla superiorità della finanza), hanno ben poca convenienza a rimpatriare capitali posteggiati presso le loro sedi internazionali a fiscalità vicina allo zero.
Il governo Monti ha, in una cornice ben diversa, problemi simili: scovare munizioni finanziarie sufficienti per avviare un ciclo di crescita che, per ora, si allontana sempre più (vedi la previsione europea di un Pil italiano in calo dell’1,3% nel 2012); tenere sotto controllo il debito pubblico che viaggia largamente sopra il 100% del Pil. Naturalmente ci sono anche grosse differenze. A partire dal fatto che negli Usa la pressione fiscale è assai più blanda che sotto i cieli del Bel Paese. Inoltre, se il problema principale degli Usa sta nell’elusione, in parte lecita, dei grandi contribuenti, in Italia si deve parlare di evasione tout court.
Di qui la scelta di Mario Monti: l’unica, autentica mossa di politica economica del governo dei tecnici consiste nella lotta a tutto campo all’evasione. Una guerra infinita che si vuol vincere con una promessa concreta: la creazione di un fondo speciale per redistibuire le risorse rastrellate in vario modo (dai blitz spettacolari in quel di Cortina a operazioni di intelligence più efficaci anche se silenziose) in favore della fasce di reddito più basse. Inoltre, per evitare l’assedio a Equitalia, ormai considerata da una fetta del Paese (non per forza criminale) alla stregua dello Sceriffo di Nottingham, la riforma prevede di snellire le procedure e alleviare le situazioni debitorie tramite rateizzazioni flessibili e pignoramenti più leggeri.
In particolare:
A) dal 2014 le risorse che nel biennio 2012-2013 confluiranno nelle casse dello Stato dalla lotta all’evasione fiscale verranno destinate a un Fondo speciale, che avrà il compito di redistibuirle in favore delle fasce più deboli, in particolare verso l’incremento delle detrazioni fiscali per i familiari a carico. Ogni anno, entro febbraio, il ministro dell’Economia dovrà, in una relazione al Parlamento, rendere conto dell’entità di tali risorse.
B) lotta dura senza paura contro gli esercenti che non emettono lo scontrino. È previsto il rafforzamento del servizio telefonico gratuito 24 ore su 24 (il 117), come strumento a disposizione dei cittadini per denunciare i commercianti che incassano pagamenti in nero. Sulla base di queste segnalazioni verrà stilata una lista selettiva su cui l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza potranno concentrare i propri controlli.
C) I commercianti che falsificheranno o eviteranno di rispondere ai questionari alla base degli studi di settore, oltre a subire sanzioni economiche, saranno automaticamente inseriti nella lista selettiva della GdF.
D) Potenziamento dei controlli sul Terzo settore con l’obiettivo di stanare le finte Onlus. Materia che merita particolare cautela: l’immagine della sussidiarietà ha tutto da guadagnare dall’allontanamento dei truffatori. Ma guai se la materia si presterà a operazioni mediatiche o a sciabolate generiche.
E) Infine, oltre alla stretta delle compensazioni dei crediti Iva con la riduzione da 10mila a 5mila euro della soglia per l’invio preventivo all’amministrazione finanziaria della dichiarazione che attesti il diritto al credito da portare in compensazione, spicca la possibilità di procedere alla rateizzazione dei debiti tributari che, per scelta del contribuente, potrà diventare flessibile e in caso di decadenza dalla rateizzazione è prevista la dilazione dei pagamenti. Sempre per quanto riguarda Equitalia e i debiti tributari è stato stabilito un allentamento anche nella riscossione dei debiti. Eventuali pignoramenti di beni strumentali verso imprese vedranno comunque la nomina del titolare come custode giudiziario, permettendo così all’azienda di proseguire nella sua attività. Per quanto riguarda i privati, il decreto stabilisce un nuovo tetto massimo del pignoramento fino al decimo dello stipendio, e non più al quinto.
Questo, per sommi capi, il provvedimento che deve offrire dignità ideologica al nuovo rapporto tra gli italiani e il fisco. Un patto sociale basato sulla sempre minor tolleranza sociale verso l’evasione, oggetto di spot governativi (chissà a qual prezzo). Non è la prima volta che lo Stato ci prova. Forse è la prima volta che i frutti della lotta all’evasione vengono destinati ad alleviare il peso dei contribuenti più deboli, invece che finanziare nuove spese con improbabili tesoretti. Ma è una novità virtuale: quando mai la lotta all’evasione ha prodotto entrate così consistenti?
Certo, non siamo nelle condizioni della Grecia, ove su 2,6 miliardi di multe fiscali comminate nel biennio 2010-2011 sono stati incassati in effetti solo 80 milioni. Ma anche nel Bel Paese, le cifre sbandierate nei comunicati stampa sono ben diverse dalle somme effettivamente riscosse. In ogni caso è arduo parlare di rivoluzione fiscale. Per questo occorre rivolgersi all’Europa.
Già, perché nel vertice del 1° marzo, l’agenda prevede un piano di battaglia per rivedere la mappa delle entrate: “Eliminare ogni esenzione non giustificata; allargare la base imponibile; ridurre la pressione sul lavoro; migliorare il sistema di raccolta delle gabelle; stringere sull’evasione”.
Per la prima volta, la materia fiscale, gelosamente custodita dai governi (la tremontiana Italia in testa) diventa oggetto di gestione europea alla luce del “fiscal compact”. E, più ancora, diventa il vero banco di prova della credibilità italiana. Il resto sono solo chiacchiere.