Il pacchetto di aiuti internazionali varato dall’Eurogruppo nella notte tra il 20 ed il 21 febbraio per sostenere i conti pubblici di Atene ha davvero salvato la Grecia? La risposta non può essere un semplice sì o un no, perché vi sono forze in campo in grado di impedire sia il fallimento che il salvataggio della Grecia. Sono queste forze che hanno pilotato la situazione e che continueranno a pilotarla nel prossimo futuro.
Il fallimento genererebbe ripercussioni a cascata e darebbe grande vigore alla speculazione, pronta ad aggredire nuovi anelli deboli. Il salvataggio non è facilmente ipotizzabile per varie ragioni: innanzitutto non si può sapere quanti soldi occorrano, perché nessuno crede che dopo i primi 130 miliardi di euro i greci siano in grado di cavarsela da soli senza ulteriori aiuti; non è chiaro se a pagare debbano essere i privati, le banche o gli Stati; molti si domandano se sia giusto salvare la Grecia, dal momento che ha vissuto per lungo tempo al di sopra delle proprie possibilità, ha ignorato i molteplici avvertimenti e inviti a cambiare rotta, non ha mantenuto le promesse e ha falsificati i conti. Ancor oggi molti greci non sembrano aver percepito la gravità della situazione e continuano a essere convinti che tanto qualcuno dovrà arrivare a salvarli e quindi a pagare per loro.
Per uscire da questo empasse occorreva trovare una terza strada ed è quello che si e cercato di fare nell’Eurogruppo. Ora che un accordo è stato raggiunto diventa interessante capirne i contenuti e soprattutto quale impatto avrà nel tempo.
L’accordo
Contiene molte clausole tecniche, quali l’accettazione da parte dei creditori di un taglio nominale del 53,5% e la disponibilità a riscuotere il resto in ulteriori titoli, per cui di fatto il deprezzamento supera il 70%. Senza entrare in troppi dettagli (cosa succede ai privati che si rifiutano di accettare l’accordo “volontario”?), l’accordo concede un po’ di respiro in cambio di regole più strette e controlli costanti. È il tentativo di impedire il default e dall’altro di incidere sui fattori che hanno generato la crisi, operando un cambiamento delle abitudini ed evitando di premiare chi ha speso più di quanto poteva spendere. Si tratta di una sfida molto difficile, di lungo periodo e sulla quale vale la pena di riflettere perché ci aiuterà a capire meglio anche la situazione italiana.
Il paragone con l’Italia
I problemi della Grecia: evasione fiscale impressionante, grande divario tra ricchi e poveri e drastica riduzione delle classi intermedie, deficit elevatissimo e superiore al Pil, classe politica corrotta e inaffidabile, disoccupazione molto elevata e particolarmente diffusa tra i giovani, potenzialità turistiche straordinarie ma pochissimo sfruttate, costante perdita di credibilità nel contesto internazionale. Sembra una descrizione, solo un po’ drammatizzata, dell’Italia di tre mesi fa.
Grazie al cielo abbiamo cambiato rotta e ora la situazione è talmente cambiata che, quasi, non ci ricordiamo dove eravamo fino a poco tempo fa. Da problema siamo diventati soluzione, i ministri non litigano più tra loro e formano una squadra compatta, la considerazione internazionale è cresciuta esponenzialmente, conosciamo i redditi del governo con una trasparenza superiore a quella dei paesi più avanzati, chi evade le tasse non si sente più un furbo e comincia a dubitare che gli convenga persistere in questa abitudine, ma soprattutto abbiamo messo il bilancio in pareggio. È importante non dimenticare da dove siamo venuti e riflettere su quanto sta avvenendo in Grecia per continuare ad andare avanti con coraggio e per dotare l’Italia delle riforme necessarie, a partire da quella del lavoro.
Il cammino che dovrebbe fare la Grecia per uscire dalla propria situazione è lo stesso di quello fatto dall’Italia. Si tratta di un percorso estremamente difficile e che da noi sta avvenendo per una serie di felici concause difficilmente replicabili.
La riabilitazione è un processo lento e faticoso
Anche in Italia il miglioramento delle condizioni richiede tempo. Monti ha dichiarato che l’obiettivo non è di ridurre, ma di azzerare lo spread. Non si vede perché, una volta ripristinate le giuste condizioni, si debba continuare a pagare questa tassa sull’inefficienza a favore dei Paesi più ricchi. L’obiettivo è lodevole e mi auguro che possa essere raggiunto, ma, personalmente, prevedo che lo spread a fine anno viaggerà intorno ai 250 punti. Se la Grecia non riuscirà a fare in modo autonomo un cammino virtuoso saranno coloro che finanziano il debito che interverranno dall’esterno. Si può discutere se sia giusto limitare la sovranità di un popolo, ma la storia insegna che quando non si è in grado di pagare i propri debiti e si ricorre ad aiuti esterni si limita la propria sovranità.
Il vertice dell’Eurogruppo ha posto una prima serie di limitazioni alla sovranità della Grecia, ma, sicuramente, non saranno le ultime perché il processo di ristabilimento di Atene non sarà breve e sarà costellato di numerosi interventi esterni. Anche la prossima volta la Grecia non sarà né in default, né salvata, ma riceverà aiuti economici e dovrà rinunciare a un ulteriore pezzo di autonomia.
La riabilitazione richiederà altri interventi. Il divario tra Italia e Grecia può aiutarci a comprendere lo scampato pericolo e il cammino impervio che attende i greci.