«Non c’è una garanzia di successo al 100%». Così, onestamente, Angela Merkel ha avvertito i deputati del Bundestag chiamati ieri a pronunciarsi sul secondo piano di salvataggio greco, approvato con 496 sì, 90 no e 5 astenuti: vuol dire che la Cancelliera ha dato un’occhiata ai prezzi correnti per bonds greci e pacchetti Bgb (bond+cds) alla Borsa di Stoccarda e ha capito che con ogni probabilità lo swap sui 206 miliardi di debito greco non si farà proprio e Atene andrà comunque in default? Penso proprio di sì è giovedì, se l’asta Ltro della Bce ci lascerà un po’ di spazio, vi spiegherò cosa si sta pensando di fare tra New York, Londra e Berlino affinché la Grecia salti, la Germania risparmi i soldi di fatto stanziati con il voto di ieri e i fondi speculativi facciano un bel po’ di soldi (legittimi, nulla da dire).



Il fatto è che non è la Grecia a essere il problema. No, cari lettori, è proprio l’intera eurozona a rimandare sinistri scricchiolii, a essere sbagliata nell’impostazione, non solo l’ormai fallita Atene. E non mi riferisco al boccheggiante Portogallo o alla Spagna, talmente rientrata nel mirino dei dispensatori europei di inutili cure da cavallo, da portare il primo ministro, Mariano Rajoy, alla seguente dichiarazione: «Sarebbe un suicidio provare a tagliare il deficit di budget dall’8% del Pil al 4,4% quest’anno». Operazione invece fortemente richiesta dai calvinisti fiscali assortiti e che si tradurrebbe in tagli ulteriori tra i 40 e i 50 miliardi di euro per un’economia che il Fmi quest’anno già vede in contrazione dell’1,7% e con il tasso di disoccupazione al 25%.



No, a innescare dubbi sul futuro di questo sgangherato continente tutto banche e niente regole, è proprio il soggetto chiamato a stabilizzare la situazione: ovvero, la Bce. Siamo infatti al conto alla rovescia finale per la seconda asta Ltro della Bce, attesa per oggi e domani, dopo il successo della precedente, tenutasi il 21 dicembre e capace di fornire quasi 500 miliardi di euro di liquidità a tre anni e all’1% di interesse a 523 istituzioni bancarie europee. Questa volta, però, le richieste potrebbero essere superiori e, forse, anche il numero di controparti pronte a depositare collaterale presso l’Eurotower per rifornirsi di finanziamenti: qualcuno azzarda addirittura 1000 miliardi di euro di liquidità a prezzo di saldo (io penso che sarà in un range tra 475 e 525 miliardi).



E non solo perché le perdite sulla Grecia e le scadenze obbligazionarie da qui a giugno hanno già praticamente eroso la prima tranche di finanziamento, ma anche perché alcuni soggetti non propriamente bancari si metteranno in coda. Il 15 febbraio scorso, infatti, la casa automobilistica francese Peugeot – che controlla anche Citroen – ha avanzato, attraverso la sua divisione bancaria Banque Psa, una richiesta di prestito collateralizzato alla Bce, presentando a tal fine una garanzia superiore a 1 miliardo di euro per poter partecipare all’asta del 29 febbraio prossimo. La stessa cosa che intendono fare anche Volkswagen, Bmw e Siemens, anch’esse dotata di licenze bancarie per il credito al consumo, ovvero per i servizi finanziari che offrono ai clienti che comprano loro prodotti. Ed è tutto perfettamente legale.

Lo conferma a ilsussidiario.net Stefano Nardelli dell’ufficio stampa della Bce, secondo cui «esiste una lista di 7500 controparti della Bce: sono istituzioni finanziarie che devono rispondere a requisiti minimi di riserva attraverso i quali si garantiscono il diritto a partecipare alle operazioni di finanziamento. La Bce non discrimina: se si è nella lista e si hanno le carte in regole, l’accesso al finanziamento è garantito». Tanto più che già i numeri della prima asta, parlavano la lingua di una platea che si è allargata: «Normalmente le controparti che partecipano a operazioni di finanziamento sono circa 200, quindi le 523 dell’asta del 21 dicembre annoverano tra loro soggetti che non avevano mai usufruito dei programmi della Bce, pur avendone diritto».

Insomma, nessuno scandalo. Lo conferma Stefan Rolf, capo della divisione asset backed securitisation alla Volkswagen Financial Services, secondo cui «la competitività dell’asta Ltro è tale da renderla certamente parte di un mix di metodi di finanziamento», mentre Suki Mann, analista del credito a Societe Generale, ammette che «questa è ormai una fonte alternativa di finanziamento ed è molto a buon mercato, visto che poi alcune aziende useranno come collaterale prestiti al consumo». Di più, per Huw van Steenis, analista di Morgan Stanley a Londra, «visto che l’obiettivo esplicito dell’asta Ltro è di ridurre il credit crunch e far circolare di nuovo il credito, aiutare la gente a comprare un macchina potrebbe essere un uso legittimo del denaro della Bce».

Questione di punti di vista, per almeno un paio di motivi. Primo, per quanto riguarda proprio il settore automobilistico, il più attivo in tal senso e uno tra i più in crisi, va ricordato che dopo il tonfo del 2008, non solo i giganti a stelle e strisce ottennero linee di credito a garanzia statale come il programma Tarp, ma anche aziende francesi poterono godere di salvataggi diretti da parte dei governi, una via mascherata per eludere la violazione europea degli aiuti di Stato. Secondo, il denaro che queste aziende ottengono a tasso d’interesse bassissimo non si traduce in maggiore liquidità nel sistema, quindi in credito ad aziende e famiglie, ma in un “carry-trade industriale” a unico beneficio dell’azienda stessa (se vado in banca e ottengo un prestito, decido io dove impiegare quei soldi, mentre le finanziarie legate alle aziende indirizzano quei soldi solo verso i loro prodotti), la quale a fronte di collaterale scadente ottiene denaro per potenziare non solo nuovo credito al consumo verso nuovi clienti a tassi certamente più alti dell’1% che paga alla Bce, ma anche operazioni di ristrutturazione, potenziamento, fusione o partnership.

Inoltre, il fatto che soggetti dell’economia reale e non del credito intervengano direttamente nel campo del rischio di operazioni di rifinanziamento porterà con sé l’ulteriore espansione della categoria di collaterale offerta e accettata dalla Bce, abbassandone quindi lo standard e alimentando il rischio al rialzo della pressione inflazionistica nell’eurozona. Tutto perfettamente legale, ribadiamo. Ma discutibile e, a mio modo di vedere, scandaloso a fronte di una situazione generale come quella che stiamo vivendo. Anche perché, al netto di tabaccai che tra poco chiederanno licenze bancarie e diverranno controparti della Bce, anche i soldi a pioggia dell’asta di domani non andranno affatto ad aiutare famiglie e imprese.

A confermarlo ci hanno pensato le principali banche italiane che si metteranno in fila all’Eurotower a Societe Generale, che ha preparato lo studio e le tabelle che sono riportate qui sotto.

 

 

Alla domanda, “Come impiegherà i soldi del secondo Ltro?” le banche italiane hanno risposto tutte “Nel carry-trade”. Ovvero, compreranno debito pubblico, soprattutto italiano, ma non escludo anche un po’ greco per provare il brivido della roulette russa, prendendo in presto i soldi all’1% e guadagnando sul differenziale tra questo tasso e quello pagato dai bonds, nel caso del nostro decennale circa il 4,5%. E, dati alla mano, le banche italiane pesano per il 25% di tutta la liquidità fornita dalla Bce, seguite da quelle spagnole al 20%. Necessità, ovvio ma anche un rischio, quello dello stigma, ovvero il fatto che il mercato prezzi negativamente la dipendenza di una banca da programmi d’emergenza una tantum come questi, ritenendo più serio ricapitalizzazioni, tagliare rami e assets e dar vita al deleveraging piuttosto che vivere di sussidi a tempo.

Non a caso, grandi banche straniere – sempre come dimostra la tabella – non parteciperanno al secondo Ltro, visto che tra i titoli bancari di chi ha fatto la fila alla prima asta di dicembre e di chi invece non lo ha fatto, si registra sul mercato già un’underperformance dei primi e un trattamento tra le due categoria con un premio di spread. Inoltre, la crescente subordinazione degli assets via collateralizzazione colpirà il credito senior non assicurato e, implicitamente, i costi per il finanziamento a medio termine, prosciugando le fonti di finanziamento privato e aumentando la dipendenza delle banche dal finanziamento pubblico. Un qualcosa che i mercati non apprezzeranno, volgendosi in modalità risk-off.

Certo, così facendo sostengono il nostro debito, comprimono lo spread e abbassano i costi che lo Stato dovrà pagare per gli interessi, ma a cosa ci servirà tutto questo se ad aste sempre piene (come quella di titoli a breve termine di ieri mattina, incapace però di abbattere lo spread Btp-Bund a 10 anni, visto che basata unicamente sul placebo dell’asta Ltro) corrisponderanno sempre più aziende fallite e famiglie che non arrivano al 15 del mese? Altro che dare i nostri soldi a Peugeot e Bmw. Vergognatevi!