Renato Brunetta svela la “grande bugia” dello spread in un articolo pubblicato su Il Giornale di ieri. L’ex ministro spiega infatti, dopo diversi calcoli, che il servizio del debito nel 2011 è costato 15 miliardi a fronte dei 10 miliardi nel 2010, quindi con una differenza di oneri per lo Stato di 5 miliardi per un periodo medio di 6-7 anni. Eppure, guardando alla politica economica del nostro Paese, continua Brunetta, la tempesta degli spread ci è costata due manovre aggiuntive, una da 64 e l’altra da 63 miliardi di euro, che “hanno innescato un processo recessivo e ci porteranno nel 2012 a una minor crescita del Pil tra il -1,5% e il -2%, di un punto percentuale peggiore rispetto alla recessione prevista per l’intera area euro nel 2012, pari al -0,3%”. IlSussidiario.net ha chiesto un commento su quanto affermato da Brunetta a Ugo Arrigo, docente di Scienza delle Finanze all’Università Statale Bicocca di Milano, il quale ci spiega subito che «da un punto di vista contabile, quello che dice Brunetta è giusto».



Come mai?

Queste manovre di finanza pubblica hanno avuto un effetto recessivo e a causa loro vedremo il Pil scendere di più rispetto a quello che sarebbe stato altrimenti. Brunetta parla poi di una differenza di oneri per lo Stato pari a 5 miliardi, ma bisogna anche dire che questo calcolo è effettuato su quest’anno, in cui il grosso dell’effetto è avvenuto sul secondo semestre, mentre il primo è stato tutto sommato abbastanza tranquillo. Inoltre, quei 5 miliardi su sei mesi devono necessariamente essere moltiplicati per il numero di anni in cui questo fenomeno poteva essere presente nel caso in cui non fossero state attuate correzioni.



Ci spieghi meglio.

Brunetta ha ragione a dire che in questo primo anno l’impatto sulla finanza pubblica è tutto sommato trascurabile, ma il problema è che se non si poneva un argine rischiavamo di ritrovarci nel 2012 con delle aste senza abbastanza domanda di titoli pubblici da parte degli operatori finanziari. Brunetta fa poi un conto su un orizzonte temporale molto ristretto, mentre bisognerebbe guardare a un lasso temporale più ampio, ma ha certamente ragione quando dice che dal punto di vista della politica economica l’aumento dello spread è stato gestito molto male da parte di Tremonti, senza alcuna autorevolezza. In quella fase così delicata, Tremonti ha dimostrato di non essere in grado di guidare la macchina pubblica.



In che modo?

Sottovalutando il rischio sui conti pubblici, pensando che tutto fosse a posto e che bastasse solo una manovra correttiva, che avesse effetto non nel biennio che era già stato toccato dalla manovra precedente, ma negli anni successivi. Tremonti ha sempre dichiarato che c’era il bisogno di un piccolo aggiustamento dei conti pubblici, senza dover fare nulla di drastico, ma successivamente si è ritrovato a far questa manovra a causa dell’aumento dello spread senza averla preventivata. Di conseguenza, è stato fatto un lavoro affrettato e senza una linea ben precisa di intervento. Tremonti ha attuato una politica di finanza pubblica sostanzialmente immobilistica, e fintanto che a rischio erano paesi come la Grecia, stare fermi pagava. Ma quando l’ottica di breve periodo è stata superata e si è passati a quella più di medio e lungo periodo, è ritornato in auge la consistenza del debito.

Brunetta dice anche che nelle aspettative degli investitori contano relativamente poco “le misure nazionali di politica economica, le manovre correttive, che pur dando segnali forti sul miglioramento dei conti pubblici, finiscono per avere effetti depressivi sull’economia”. Cosa ne pensa? 

Guardando anche alle manovre varate in passato, Brunetta potrebbe anche avere ragione. Dopo ogni manovra di finanza pubblica, infatti, lo spread è sempre salito. È successo nel 2010 con la prima manovra straordinaria di Tremonti e perfino con quella di Amato del 1992, ma sono tutte manovre fatte a breve termine, che vogliono migliorare i saldi, ma che hanno portano effetti recessivi sulla crescita, e che quindi vengono percepite come tali dai mercati.

Allora è vero che, come dice Brunetta, contano strategie di lungo periodo?

Sì è verissimo, e per questo ritengo che l’avvio di processi di riforma, pur diluiti nel lungo periodo, ma fatti seriamente, possano avere effetti più consistenti.

Secondo lei, quella dello spread è davvero “una grande bugia”?

Più che una grande bugia, direi che si è trattato di un grande abbaglio. Ci siamo fatti abbagliare dalla rischiosità percepita e comunicata dai mercati, e abbiamo fatto maxi manovre che creano recessione e di conseguenza ostacolano il raggiungimento dell’equilibrio del bilancio pubblico.

Secondo lei, il governo Monti ha iniziato a fare quello che secondo Brunetta conta di più nell’andamento dello spread, cioè credibili strategie di lungo periodo?

È quello che adesso sembra aver iniziato a fare, però solo dopo un primo provvedimento di manovra che aveva caratteristiche qualitative molto simili a quelle di Tremonti. Il mercato ha però bisogno di riforme, e se queste saranno sufficienti lo vedremo solo più avanti. C’è però un rischio, cioè che dopo il grande inganno dei mercati, che improvvisamente non hanno più avuto fiducia nell’Italia e fatto aumentare gli spread in maniera così consistente, ci possa essere una fase di relativa tranquillità in cui con lo spread che scende sembra che il governo Monti abbia fatto tutto, ma in realtà non è ancora così.

 

(Claudio Perlini)