Sarà un ottimo “governo dei tecnici”, avrà ridotto lo spread e i rendimenti dei nostri titoli di stato. Sarà ancora popolare, anche perché non c’è un’alternativa credibile all’orizzonte, ma qualche dichiarazione i ministri di questo esecutivo dovrebbero misurarla meglio. Il primo ministro, Mario Monti, è uscito settimana scorsa con due “perle”: la prima con un suggerimento ai giovani sulla noia e sulla monotonia del posto unico per tutta la vita, quando in Italia un giovane su tre non ha lavoro e siamo di fronte a una gravissima crisi economica che di certo non apre speranze per l’occupazione; la seconda riguardava, tanto per cambiare l’articolo 18, che sarebbe un freno allo sviluppo, ma soprattutto terrebbe lontano gli investitori dall’Italia.



A dare man forte al Presidente del Consiglio sono intervenute due colleghe di governo. Prima il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, sostenendo che non bisogna creare illusioni sul posto fisso e per questo Monti ha fatto quella dichiarazione; poi il ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, che ha detto, senza peli sulla lingua: “Noi italiani siamo fermi al posto fisso nella stessa città, di fianco a mamma e papà”. Ma è proprio tutto così? Il professor Luigi Campiglio, docente di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, ascolta le dichiarazioni dei due ministri e ricorda quella di Monti, con qualche perplessità.



Che cosa la lascia perplesso?

Mi lasci fare una premessa. Io non ho mai creduto ai “governi tecnici”, perché alla fine hanno sempre una valenza politica. In fondo, basta valutare quello che hanno fatto con la manovra e la relativa riforma delle pensioni. A me sembra comunque, che ritenendolo sempre un “governo dei tecnici”, c’è qualche cosa che comincia a scivolare. Quale è l’argomento migliore, la carta migliore che ha in mano un “governo dei tecnici”? È la forza degli argomenti ancorati alla realtà e svincolati da ogni ideologia. La forza delle analisi precise, dei dati ben documentati. Allora, mi permetto di chiedere: vogliamo fare un discorso sulla flessibilità e la mobilità esistente in Italia
veramente, suffragato da dati e analisi serie? La risposta purtroppo è che tutto questo è possibile. Perché ufficialmente questi dati e queste analisi non esistono. L’Istat lo ha fatto una volta, qualche tempo fa, poi non lo ha più ripetuto. E allora di che cosa stiamo parlando?



Quindi, quella della mobilità e della flessibilità diventa spesso un luogo comune, che si dice con una certa leggerezza, proprio perché non si hanno delle valutazioni precise e aggiornate?

Non ho voglia di stilare giudizi. Vorrei invece fare un’altra domanda, se mi è concesso: la mobilità del lavoro è maggiore qui o in Germania? Vogliamo fare come in Germania? Va bene. Ma qual è la differenza tra noi e la Germania in materia di mobilità e di flessibilità? Nessuno è in grado di dirlo, perché non esistono analisi precise e accurate. In più, vorrei fare notare che la mobilità del lavoro ha un senso quando cambia l’economia e si passa da settori arretrati a settori più avanzati.

Ma alcuni dati sul lavoro esisteranno?

Esiste la famosa “classe zero”, che non è affatto l’ultimo modello della Mercedes , ma è il nome che la Mercedes dà alle fabbriche con zero dipendenti, cioè a quelli che vengono a lavorare per alcune giornate, in modo indipendente. Facciamo il caso dell’idraulico, tanto per fare un esempio. Bene. Si sa quale è il Paese più ricco di “classe-zero” nell’Europa a 27? È l’Italia, con 5 o 6 milioni di occupati indipendenti.

 

Dichiarazioni quindi che si possono anche definire “parole in libertà”?

 

No, non userei questo termine. Piuttosto una certa pigrizia culturale che esiste anche in campo economico. Credo che questo governo debba andare avanti, non abbiamo grandi alternative. Ma un poco di attenzione, basandosi su fatti precisi e analisi scrupolose, occorre pur farla. E si può fare qualche cosa sul mercato del lavoro. Basterebbe non dividersi su “steccati ideologici” che non portano da nessuna parte. L’articolo 18, ad esempio, non mi sembra un fatto insormontabile e sfido qualsiasi persona a sostenere che sia questa norma a tenere lontano dall’Italia gli investitori stranieri. Bisognerebbe tenere conto quanti ne sono esclusi, come quelli che lavorano in una fabbrica con meno di quindi dipendenti. In più, c’è una considerazione di fondo da fare in questo
momento: la crisi economica è gravissima, con fabbriche che rischiano la chiusura.

 

Che cosa consiglierebbe a questo governo?

Non ho alcuna intenzione di essere negativo. Ma vorrei dare un consiglio spassionato, proprio perché un governo di tecnici deve essere legato, molto più di un governo politico, ad argomenti importanti che devono avere un riscontro nella realtà. È meglio che scelgano di parlare se hanno qualche cosa di nuovo e di importante da dire.