C’era una pagina ieri su La Repubblica, la numero 12, che appariva come un’autentica “mazzata” contro i sindacati, contro la linea che stanno tenendo nella trattativa con il “governo dei tecnici”. Il giornale “liberal” per eccellenza, portatore di una linea di sinistra cosiddetta intelligente, sottolineava in apertura la “sparata” del ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri, sui giovani italiani che vogliono “il posto vicino a mamma e papà”. Quasi una battuta, non suffragata da alcuna analisi o da alcun dato reale. In compenso, il giornale riservava una sorpresa di taglio basso: “L’articolo 18 vale 200 punti di spread”. In pratica, tuonava il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, senza l’articolo 18, lo spread dei nostri Btp sarebbe nei confronti del Bund tedesco a una quota intorno ai 170 punti base. Stupore? Non per la linea di Repubblica, da tempo schierata al fianco del governo Monti, ma piuttosto per la caduta dello spread con l’eliminazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Stefano Cingolani, giornalista economico, resta piuttosto perplesso su questo eventuale effetto sullo spread. Ma ragiona intorno alla spinta sull’Italia che arriva dall’estero e che ha tanti supporter nel Paese.
Cosa pensa di questa notizia?
Un calcolo sullo spread non sono proprio in grado di farlo. E aggiungo anche che non attribuisco tutta questa importanza all’articolo 18 nella mancata crescita italiana e sul fatto che non arrivino investimenti esteri. Il problema mi sembra un altro. All’estero e sui mercati c’è una grande aspettativa sulla flessibilità del lavoro in Italia. L’articolo 18 è diventato una sorta di emblema della non flessibilità, una bandiera della rigidità italiana. Ora, hai voglia di spiegare che la portata dell’articolo 18 è ridotta in tutta questa vicenda complicata. Ormai è preso come un simbolo. E come si può ragionare seriamente intorno a un simbolo? I sindacati lo difendono a oltranza, all’estero si pensa che debba essere eliminato per far ritornare a crescere l’Italia, perché così il mercato del lavoro viene liberalizzato.
Ma tutta questa sembra una vicenda virtuale, non reale.
Questo è vero. Siamo in un mondo virtuale e i mercati credono a tutto questo. Occorre sempre ricordarsi quello che hanno scritto Standard&Poor’s, Fitch e la stessa Banca centrale europea. Nei loro consigli e suggerimenti hanno sempre sottolineato che occorre una riforma del mercato del lavoro in Italia, perché c’è troppa rigidità e quindi continuano a consigliare una flessibilità in uscita. Insomma, tutta questa storia è diventato un “senso comune”. E si va avanti di questo passo da mesi. In realtà, tutto questo chiude alla fine un cerchio di consigli arrivati dalle agenzie di rating e dagli organismi internazionali.
Quali erano i capisaldi delle critiche all’Italia?
Innanzitutto la questione delle pensioni. E con la manovra si è ottenuto quello che si chiedeva. Poi c’è sempre stata la questione della spesa pubblica. Qui si è fatto poco. Alla fine c’era il nodo del mercato del lavoro, della sua rigidità in Italia. Sono questi i punti, secondo gli osservatori internazionali e le agenzie di rating (che, nonostante i loro madornali errori, mantengono sui mercati la loro credibilità), che determinano la mancata crescita dell’Italia.
Sembra quasi incredibile che si voglia chiudere il cerchio intorno a questi tre problemi. Ma sull’articolo 18 il dibattito sembra addirittura paradossale.
È vero è un dibattito paradossale. Ma questo è quello che si è creato in questi anni. Ho potuto sentire di persona i giudizi di alcuni esponenti di multinazionali estere. È semplicistico, schematico: in Germania un articolo 18 non esiste, in Italia invece c’è e rappresenta una rigidità intollerabile. È veramente paradossale, ma ormai sui mercati funziona così. Il che non vuole dire che questo possa portare a un crollo dello spread così come è stato valutato. Ma l’attesa di una riforma che dia un colpo ai sindacati c’è, si sente, si aspetta. E i mercati poi i suggerimenti li prendono volentieri, ci credono.
Un po’ se la sono cercata anche i sindacati italiani.
Beh, non si può dire di no. Quando Angeletti propone la possibilità di licenziare per gravi motivi economici in un’azienda dice, tutto sommato, un’ovvietà. Questo già avviene e poi, se un’azienda fallisce che cosa succede? È evidente che i lavoratori restano senza lavoro e ci vogliono interventi di altro tipo.
(Gianluigi Da Rold)