Le vivaci polemiche sul caos innescato a Roma dalla nevicata (e successiva ondata di freddo, con la conseguenza di lastricare le strade di ghiaccio) hanno forse fatto perdere di vista quello che è stato l’aspetto caratterizzante in questi giorni di maltempo. Occorre, invece, esaminarlo con attenzione nei suoi effetti e nelle sue determinanti proprio per contribuire a mettere in atto quella “cultura della prevenzione” che, come ha sottolineato lo stesso Presidente del Consiglio, Mario Monti, è essenziale per evitare che al ripetersi di fenomeni analoghi le conseguenze siano così gravi.



Il vero punto che ha caratterizzato l’Italia rispetto ad altri paesi colti nella morsa del freddo e della neve è il vero e proprio collasso del funzionamento del sistema ferroviario. Solamente da noi si è assistito a treni lasciati al gelo in mezzo alla campagna per ore e ore, a cancellazioni a catena, al vero e proprio esempio emblematico di Bologna, dove la città funzionava nonostante ci fossero 40 centimetri di neve, ma la stazione ferroviaria (uno dei nodi più importanti della Penisola) era nella più piena confusione. Occorre chiedersi se sia solamente dipeso da una serie di micro-fattori in base ai quali il Diavolo ha posto la propria coda in tutti i binari e in tutte le stazioni o se ci siano determinanti più fondamentali. Da esaminare con attenzione e da sanare.



In primo luogo, è essenziale domandarsi se la strategia ferroviaria dell’Italia sia in linea con le esigenze del Paese. In dicembre, un documento di “Osservazioni e Proposte” del Cnel al Governo e al Parlamento ha sottolineato come: a) le carenze della logistica costino al Paese ben 40 miliardi l’anno; b) tali carenze siano in gran misura le conseguenze di una strategia ferroviaria che ha dato la priorità alle tratte “ricche” per passeggeri, trascurando il trasporto merci e le linee regionali e locali. Ciò ha comportato, da un lato, porre il Paese alla mercé dei “padroncini” dei trasporti merci su gomma (con episodi quali quelli di un paio di settimane fa) e, dall’altro, dimenticare che, anche a ragione delle difficoltà di “mobilità abitativa”, l’Italia è una nazione di pendolari.



A conclusioni analoghe è arrivato uno studio commissionato dal ministero delle Infrastrutture e condotto dalle Fondazioni Astrid, Res Pubblica e Italia decide. È essenziale che il management delle ferrovie ne tenga conto ed effettui al più presto le necessarie correzioni di rotta. In caso contrario, la Politica (con la “P” maiuscola) potrebbe, e forse dovrebbe, affidare ad altri il delicato settore.

In secondo luogo, va diffondendosi l’impressione che, finita l’epoca chiamata scherzosamente della “sinistra ferroviaria”, ci sia ora un “industrial-railway complex” non dissimile dall’“industrial-military complex” lamentato da Dwight D.Eisenhowerquando era Presidente degli Stati Uniti. Appare quanto meno curioso che gli articoli sulla concorrenza nel settore ferroviario siano stati stralciati dalla bozza di decreto legge “Cresci-Italia” pochi minuti prima del loro esame da parte del Consiglio dei ministri. Speriamo che venga ripreso al più presto e arricchito di vincoli al management delle ferrovie per incoraggiarlo nell’improcrastinabile correzione di rotta.

Inoltre, nella recente revisione dei progetti critici (per il finanziamento pubblico) il Ponte sullo Stretto di Messina è stato sostituito dall’Alta velocità Napoli-Bari. Abbiamo sempre espresso riserve sul Ponte sullo Stretto, ma si è proprio certi che l’Alta velocità Napoli-Bari abbia la priorità sul trasporto merci e sull’ammodernamento dei servizi le cui debolezze sono state messe in viva luce negli ultimi giorni? Non c’è il rischio che l’“industrial-railway complex” sia diventato autoreferenziale e confonda la propria missione con i propri obiettivi di sviluppo e di carriera? Nell’assunto che ciò che è il bene dell’“industrial-railway complex” è anche il bene dell’Italia.