«Iniziamo col dire che la riduzione include anche il tabacco e di questo dobbiamo solo compiacerci. Idem per le bevande: se il dato, ad esempio, riguarda anche le bibite zuccherate che sono uno dei fattori principali dell’incremento di obesità, soprattutto infantile, è solo un bene se questa spesa si riduce. Credo che in Francia siano addirittura state tassate di recente». Andrea Ichino, docente di Economia politica all’Università di Bologna, commenta in questa intervista per IlSussidiario.net i dati del rapporto sull’agroalimentare presentato ieri da Intesa Sanpaolo, secondo cui i consumi di prodotti alimentari, bevande e tabacco hanno fatto segnare nel 2011 un calo dell’1,5% a prezzi costanti. Questo significa che in termini di spesa pro-capite gli italiani sono tornati praticamente indietro di circa 30 anni: nel rapporto si legge infatti che “si deve tornare ai primi anni ’80 per scendere al di sotto dei 2.400 euro annui destinati al comparto agro-alimentare”. Il rapporto sottolinea anche che si tratta di “un trend strutturale legato al minore consumo di alcune voci, come il tabacco, ma che segnala anche le evidenti difficoltà del consumatore italiano che, a fronte delle tensioni sul mercato del lavoro e sul reddito disponibile, riduce ulteriormente gli sprechi e modera gli acquisti anche in un comparto dei bisogni poco comprimibili come l’agroalimentare”.
Professor Ichino, quindi secondo lei questi dati non devono essere considerati poi così preoccupanti?
Esatto, e non vedo nemmeno perché debba tanto stupire che si spenda di più per bollette e trasporti che non per il cibo. Consumiamo certo molta più energia di 30 anni fa, e viaggiamo molto di più, molto più rapidamente e con mezzi di trasporto più costosi. E non è nemmeno detto che tenendo conto dei miglioramenti di qualità si stia spendendo di più in trasporti che in cibo. Forse, ad esempio, la qualità della pasta oggi è inferiore a quella di 30 anni fa, mentre la qualità di un viaggio in automobile a parità di distanza è aumentata enormemente. Si pensi, per esempio, alla sicurezza delle automobili. Quindi tenendo conto delle variazioni di qualità relativa forse non dobbiamo stupirci di questi risultati.
Come giudica quindi i dati che emergono dal rapporto?
Non conosco nel dettaglio lo studio di Intesa San Paolo, ma sarebbe davvero sorprendente se i consumi, in una crisi così profonda come quella che stiamo attraversando, aumentassero. Se daremo fiducia al Governo Monti, dalla crisi riusciremo a uscire e i consumi torneranno a crescere. Magari non quelli alimentari, che tutto sommato possono rimanere ai livelli pro capite attuali, ma gli altri sì.
Rispetto a 30 anni fa, che cambiamenti hanno subito sia lo scenario economico che le famiglie italiane?
Stiamo parlando solo di spesa alimentare, mi sembra. Prima di preoccuparci di cambiamenti epocali dovremmo chiederci per quale motivo, a prezzi costanti, la spesa alimentare individuale dovrebbe aumentare. Siamo sicuramente ipernutriti e un minore assorbimento di calorie non è detto che sia un male. Negli ultimi trent’anni si è probabilmente modificata la dieta degli italiani. Bisognerebbe tenere conto anche di questo prima di allarmare il Paese con annunci apocalittici. Senza dati più precisi su quello che Intesa San Paolo ha rilevato, mi è difficile giudicare il significato di questa riduzione di spesa alimentare. Nei periodi di crisi aumenta anche la produzione casalinga, come dimostrano numerosi studi, e anche questo può contribuire a spiegare la flessione della spesa alimentare. Se produciamo di più in casa abbiamo meno bisogno di spendere nel mercato.
I bilanci delle famiglie appaiono comunque sotto pressione. Secondo lei, quali sono i fattori più importanti che portano a questo fenomeno?
La crisi innanzitutto, che ha determinanto una considerevole diminuzione della ricchezza finanziaria degli italiani. Credo sia meno rilevante la disoccupazione dei capifamiglia, degli adulti, perché sono molto pochi in questa categoria ad aver davvero sofferto la crisi. Chi ha pagato il conto sono soprattutto i giovani. E ci vorrebbero dati più dettagliati per capire quanto della caduta di consumi alimentari sia attribuibile ai consumi dei giovani, che sono comunque in gran parte legati a quelli familiari, visto che i giovani italiani non si allontanano da casa. Faccio quindi fatica a pensare che i trend di natura strutturale che Intesa San Paolo dice di aver stimato possano dipendere da eventi congiunturali recenti come le misure sacrosantamente necessarie del governo Monti.
Considerando il periodo di recessione e gli effetti delle manovre finanziarie degli ultimi due governi, nei prossimi mesi sarà ancora più difficile aumentare i consumi. È d’accordo?
Non siamo ancora usciti dalla crisi. Ci stiamo avviando verso l’uscita: ma ci sono ancora molti ostacoli da superare tra noi e la porta. Altri paesi che si erano equipaggiati meglio di noi senza buttar via risorse per vent’anni, hanno superato meglio la crisi e sono ormai già alla porta. Noi no. Per troppo tempo gli italiani hanno vissuto al di sopra delle loro possibilità, e lo attesta l’enorme debito cha abbiamo accumulato.
Come fare per invertire il trend: si stimoleranno nuovi bisogni commerciali, si “ostacolerà” il risparmio o vede altre soluzioni?
Ora è il momento di stringere la cinghia, e lasciare spazio di manovra al governo Monti affinché possa finalmente passare alle misure che servono per la crescita. Finora, dopo il primo decreto, le lobbies che proteggono rendite parassitarie nel Paese hanno impedito al Governo Monti di realizzare con incisività le misure necessarie per la crescita. Solo la crescita può far ripartire i consumi, ma per ottenerla bisogna lasciar spazio di manovra al Governo, senza continuamente anteporre i propri interessi particolari.
(Claudio Perlini)