Le proiezioni dei dati correnti segnalano un pericolo. Se una parte rilevante del debito pubblico non sarà ridotta entro un triennio, allora il peso della spesa per interessi (tra i 70 e i 90 miliardi annui) e la necessità di mantenere alta la tassazione per coprirla soffocherà ogni tentativo di aumentare la crescita e manterrà l’Italia in stagnazione con progressiva deriva verso la depressione. Il governo, invece, ritiene che saturando il potenziale di gettito della nazione, cioè far pagare a tutti le tasse, e limando la spesa pubblica, si riuscirà a sostenere la baracca senza compromettere la crescita. E per questo non mette in priorità un’operazione patrimonio contro debito. Chi scrive, invece, ritiene che il governo sottovaluti l’effetto depressivo del drenaggio fiscale.



Da un lato è vero, usando la teoria contabile, che aumentando di 3 o 4 punti di Pil il gettito e bloccando l’aumento del debito azzerando il deficit si potrebbe arrivare all’equilibrio di sistema. Dall’altro, usando la teoria economica, l’impatto del drenaggio ha un’elevata probabilità di avviare una spirale depressiva irreversibile. Questa sembra la differenza di analisi tra la visione contabile del governo e quella dell’analisi economica realistica, la prima pericolosa e da correggere subito.



Alternative? L’unica efficace nel breve-medio termine per invertire la tendenza depressiva è quella di usare il patrimonio pubblico per abbattere il debito allo scopo di ridurre la spesa per interessi e grazie a questo le tasse, spostando così più capitale dallo Stato al mercato per rivitalizzarlo. Come? Per prima cosa lo Stato dovrebbe creare il “Fondo italiano di bilanciamento” (Fib) con le missioni di censimento, valorizzazione, finanziarizzazione e vendita del patrimonio. Solo questa azione cambierebbe la musica, perché la gestione del patrimonio passerebbe dalla burocrazia a personale specializzato. Mentre il debito è certo, il valore del patrimonio è vago perché la politica e le burocrazie dedicate mai hanno voluto censirlo con il metodo di assegnare a ogni bene un valore finanziario periziato (Nav) presupposto per valorizzazioni e finanziarizzazioni.



Dopo il censimento il Fib potrà fare una gran varietà di operazioni: dare in gestione a operatori di mercato i beni pubblici per aumentarne la redditività; emettere obbligazioni fuori dal perimetro del bilancio pubblico con cui ripagare titoli di debito statale giunti a maturazione, evitando così il loro rifinanziamento e cancellando in tal modo la cifra equivalente di debito; vendere i beni con calma, nei momenti migliori di mercato; ecc. Poniamo che il patrimonio disponibile (immobili, partecipazioni e concessioni) sia di 800 miliardi. Se il Fib lo facesse rendere il 5%, non impossibile, ogni anno lo Stato incasserebbe 40 miliardi, mentre ora prende zero. Se poi il Fib emettesse obbligazioni con cedola del 4% più un premio di rivalutazione del Nav, per un valore che è metà di quello totale in modo da sovragarantirle per abbondanza del sottostante e ottenere la tripla A, si potrebbero incassare, in un biennio, almeno 400 miliardi usabili per abbattere il debito di altrettanto, portandolo a 1,6 trilioni di euro, vicino al 100% del Pil dal 120% di oggi.

Tale azione farebbe risparmiare dai 20 ai 30 miliardi annui di spesa per interessi, calcolando anche il calo del costo di rifinanziamento per la maggior affidabilità del debito, corroborata dal pareggio di bilancio. Tale sollievo al bilancio pubblico permetterebbe di ridurre le tasse e così stimolare la crescita sostenendo meglio il pareggio di bilancio. Il Parlamento chieda al governo di valutare questa soluzione.

 

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