«Beh, meno male che qualcuno lo dice». È il commento spontaneo di un grande economista come Ugo Arrigo, docente di Scienza delle Finanze all’Università Bicocca di Milano, quando legge il duro attacco della Corte dei Conti e del garante della Privacy alla pressione fiscale che c’è in Italia e alle forme con cui il fisco si muove soprattutto nei confronti dei contribuenti. Il peso delle tasse punta a superare il 45% del Pil, “un livello che ha pochi confronti nel mondo”, afferma il presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino, mentre il Garante per la Privacy, Francesco Pizzetti, picchia duro, sulle norme di trasparenza amministrativa nei controlli fiscali, che rappresentano “strappi forti allo Stato di diritto”. E ancora, parole di Pizzetti: “È proprio dello Stato non democratico pensare che i propri cittadini siano tutti possibili violatori delle leggi. In uno Stato democratico, il cittadino ha diritto di essere rispettato fino a che non violi le leggi, non di essere sospettato a priori”. E aggiunge: “È proprio dei sudditi essere considerati dei potenziali mariuoli”. Insomma, una lezione di diritti in uno Stato di diritto che viene impartita al “governo dei tecnici”, che sembra più un governo di emergenza, con qualche carenza democratica di base.



Che ne pensa di questo doppio intervento, quasi  a “gamba tesa”?

Come le ripeto, per fortuna che c’è qualcuno che queste cose le dice. Mi piacerebbe sapere se ho contribuito, solo in parte, a questa definizione di  “sudditi” fatta dal Garante, dopo una mia intervista radiofonica di qualche giorno fa, in cui usavo quel termine per dire come vengono trattati i cittadini italiani. Non c’è dubbio che la Corte dei Conti e il Garante alla Privacy abbiano ragione.



La serie di rilievi fatti dalla Corte dei Conti e dal Garante alla Privacy, puntano su diversi aspetti della manovra del governo e anche dei successivi decreti, non le pare?

Si può dire che ci sono quattro rilievi, quattro critiche fondamentali, quattro accuse dirette. Partiamo dalla considerazione che il presidente della Corte dei Conti dice che il fisco è ingiusto perché il riferimento è fatto al cittadino fedele. Il secondo punto è che la pressione fiscale è insopportabile e che bisogna agire sulla spesa pubblica. Poi c’è la violazione di normali diritti dei cittadini. Ma infine c’è una quarta linea di attacco: la marea di informazioni che il fisco raccoglie. Scusi, il fisco sa già tutto di me, quando preleva alla fonte o dalla dichiarazione dei redditi, perché vuole sapere altre informazioni? A quale titolo? Adesso, dopo aver conosciuto le mie entrate, vuole conoscere anche le mie uscite. Ma perché non vanno a controllare quelli che fanno ripetuti versamenti in denaro contante nelle banche? Forse lì, in quel caso, c’è qualche cosa che non funziona.



Chissà se saranno suonate le orecchie al presidente dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera, che propone, al posto di una nuova “Guida Michelin”, un “bollino”  da esporre per gli esercizi commerciali onesti, in regola con il fisco.

È un’iniziativa che ricorda altri regimi, come gli stakanovisti in alcuni Paesi della vecchia Europa dell’Est. Qui il “bollino” potrebbe essere l’attestato a uno stakanovista del fisco.

 

A suo parere, professor queste prese di posizione avranno un peso politico?

 

Non credo, perché questo è un “governo di tecnici”. Piuttosto dovrebbe avere un peso sui partiti della coalizione che sostiene questo governo. Che cosa ne pensano Alfano, Casini, Bersani? In fondo la Corte dei Conti e il Garante della Privacy fanno solamente il loro dovere, fanno le pulci cercando di salvaguardare i diritti dei cittadini italiani, le norme di uno Stato di diritto. Dovrebbero essere i partiti a raccogliere le indicazioni che vengono da questi organi.

 

Certo che il problema che pongono Corte dei Conti e Garante, unito al problema delle famiglie italiane in difficoltà che stanno facendo sacrifici è ormai all’ordine del giorno.

 

Gli italiani si sono sobbarcati i debiti delle banche, hanno accettato la manovra e stanno facendo i conti con il “carrello della spesa”, ogni giorno. C’è una forte riduzione dei consumi e un’inflazione che supera il 4%. Non parliamo del prezzo della benzina. Io mi chiedo: gli italiani accettano questi sacrifici e li stanno facendo, ma quali sacrifici ha fatto e sta facendo questo Stato? Sarei curioso di avere una risposta.

 

Siamo in un Paese dove il capo della polizia guadagna più del presidente degli Stati Uniti e della Regina Elisabetta, dove un superburocrate supera con lo stipendio qualsiasi segretario di Stato americano.

Forse se lo sono dimenticato. Gli italiani sono probabilmente tanto amanti del “pubblico” che hanno sviluppato poca capacità critica e poca reazione di fronte a certi fatti. Gli inglesi nel Dopoguerra, per tasse e balzelli, cacciarono Churchill. In seguito, mandarono a casa anche la Thatcher quando volle la “poll tax”. Altre situazioni.

 

Viene in mente una famosa lettera di Robert McNamara, presidente della Ford, che accetta l’incarico di segretario al Tesoro da John Kennedy e il suo guadagno annuale si riduce a un quarto, tanto che deve scrivere una lettera alla sua famiglia, spiegando che per lui è un onore essere un membro del Governo, ma, con il nuovo stipendio, bisogna che tutta la famiglia cambi vita.

 

Evidentemente tutti questi esempi di democrazie liberali solide e radicate non hanno alcun peso in un Paese dove lo Stato fa quello che vuole. Si garantiscono i debiti delle banche, si assicurano i profitti di alcune grandi aziende e con i cittadini normali si tassa e si invade la loro vita con una
richiesta di informazioni che ormai è inquietante.

 

(Gianluigi Da Rold)