Dopo il successo dei Bot di martedì, l’asta dei Btp di ieri si è rivelata un successo: per il titolo triennale, a fronte di un importo offerto di 5 miliardi, la richiesta è stata di 7,8 miliardi, con un rendimento in calo al 2,76%. Per il titolo decennale, a fronte di 1 miliardo offerto, la richiesta è stata di 1,99 miliardi, con un rendimento pari al 4,30%. Subito lo spread tra Btp e Bund è sceso sotto quota 300 punti base, rimanendo vicino ai 290. Un quadro positivo, se solo si pensa agli oltre 500 punti base di inizio anno. Luigi Campiglio, Docente di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, ci aiuta a fare un punto della situazione.
Professore, si diceva che questi primi mesi dell’anno fossero fondamentali per i nostri titoli di stato. Le ultime aste si stanno rivelando in questo senso positive. Ma resta una domanda: il pericolo è scampato?
Il mix “Governo Monti” e “operazioni Bce” è stata un successo. Come conseguenza di un quadro generale più tranquillo, lo spread ha cominciato a diminuire. Se rompe la soglia tecnica e psicologica dei 300 punti base e comincia a tendere stabilmente verso i 250 – e ci sono le condizioni perché ciò possa avvenire – sarebbe un gran bel segno. Dopodiché una stabilizzazione quasi completa sarebbe quella di scendere sotto la soglia dei 200. A quel punto si ritornerebbe in una zona quasi “normale”.
In effetti, ieri Maria Cannata, Direttore generale del debito pubblico al ministero del Tesoro, ha detto che si può tornare a 180. Aggiungendo che partendo dalla situazione attuale “cento punti si possono togliere con grandissima facilità”.
Non credo sia così facile, anche se è possibile. L’operazione Ltro Bce è stata provvidenziale per il calo già registrato, ma non penso che ci siano margini di manovra per nuovi interventi. Inoltre, si è trattato di prestiti triennali. È come se la Bce avesse concesso all’Europa un periodo di grazia di tre anni per ritornare a essere un’area economicamente in crescita. La nuova scommessa è poter far vedere di aver raggiunto dei risultati in questa direzione già tra un anno e mezzo.
E cosa dovrà fare l’Italia?
Quello che può fare l’Italia è iniziare davvero a fare una politica per la crescita. Provvedimenti come le liberalizzazioni e le semplificazioni sono lodevoli, ma obiettivamente non vanno a toccare i veri nodi della crescita e dei processi di aggiustamento che sono oggi richiesti in Europa. Il nostro Paese deve quindi cominciare a mettere in campo delle proposte di sviluppo e di crescita credibili.
Secondo lei, da dove bisogna partire?
Vedo in particolare tre azioni. La prima è contenere una dinamica perversa: da più di dieci anni il tasso di inflazione italiano è stabilmente superiore di un punto rispetto a quello tedesco e di mezzo punto rispetto a quello francese. Questo fenomeno colpisce settori in cui il buon senso ci dice che dovremmo essere forti, come quello agroalimentare. Purtroppo, il governo sembra intenzionato a prendere un provvedimento che aggraverà questa situazione.
Quale?
L’aumento dell’Iva, che farà ulteriormente aumentare questo divario inflazionistico con gli altri paesi europei. Senza dimenticare che provocherà una contrazione dei consumi in generale. Occorrono quindi delle politiche di liberalizzazione, cioè di rimozione degli ostacoli all’ingresso, nei settori in cui la nostra economia può essere forte, facendola diventare così più competitiva.
Qual è invece la seconda azione da mettere in campo?
Occorre trovare il modo di far tornare il credito alle imprese. Aiutando quelle più dinamiche, poi, ci sarebbe la possibilità di creare tanta buona occupazione. Serve allora una politica diversa del credito oppure la creazione di un’istituzione finanziaria simile al Kfw (Kreditanstalt für Wiederaufbau) tedesco, un gruppo bancario pubblico che si occupa anche di finanziarie le Pmi.
E l’ultima azione?
Creare una rete anche a “costo zero” (o meglio, a costo contenuto) di sostegno reddituale delle famiglie. In questo senso, se il ministro Fornero avesse come benchmark di riferimento per le sue proposte di politica economica il reddito famigliare, credo che gran parte delle tensioni tra Governo, sindacati e Confindustria sulla riforma del mercato del lavoro sparirebbero.
(Lorenzo Torrisi)