Ci si chiede spesso quale sia la ragione per cui economie e società apparentemente più deboli dell’Italia, come per esempio la Spagna, resistano così fieramente alle regole egemonico franco-tedesche europee, mentre il Bel Paese, tecnici o non tecnici, montagne o pianure, sia così debole e balbuziente dinanzi ai diktat europei.



È un problema internazionale. Il mio vecchio amico Guido Mantega, oggi ministro dell’Economia in Brasile, ridacchia soddisfatto appena gli si critica la politica recentemente inaugurata di neo protezionismo: dice che invece che protezionismo è difesa sacrosanta dell’industria nazionale e che un po’ d’inflazione serve per impedire una sovravalutazione del real che sfigurerebbe del tutto il volto di una delle economie emergenti del mondo.



La Spagna, non dimentichiamolo, è stata un impero e ancora oggi si pensa come una potenza imperiale; così non riesce a fare il Portogallo: anzi, viste le vicende della monarchia portoghese nell’Ottocento dovrebbe essere il Brasile a far sentire Lisbona una parte dell’impero. Del resto, la novità, oggi, è il flusso di emigranti che dal Portogallo si dirigono verso le ex colonie dove si pensa di ritrovare lavoro e dignità che è così facile perdere in una nazione esposta al ludibrio e all’imperio sfacciato dell’oligopolio finanziario internazionale.

Chi non ricorda che anni or sono Francia e Germania sforarono i tetti dei deficit rispettivamente? Ma entrambi fecero spallucce e continuarono per la loro strada? All’Italia non è permesso. Ma non mi scandalizzo. Chi conosce la storia d’Italia, ossia chi ha letto i classici Mack Smith e Romeo e per certi versi anche Cafagna e sempre il vecchio ma tosto Gramsci, sa bene che l’Italia è una nazione per modo di dire, ossia è il frutto di un disegno internazionale franco-inglese-vaticano per spartirsi il Mediterraneo – darlo agli inglesi -, spartirsi il primato del conflitto con la Germania per il domino dell’Europa continentale – dandolo alla Francia – e finalmente consentire l’inclusione dello Stato pontificio nel nascente Stato italico dopo la breccia di Porta Pia.



Neppure le pantomine ciampiane degli anni scorsi (manifestazioni, concerti, sfilate, bimbi a cui solo mancava la divisa da giovani Balilla) hanno potuto invertire la storia: l’Italia è uno Stato di serie B e una nazione inesistente, una debolezza che dipende tanto dalla volontà della egemonica Germania quanto da quella dell’oligopolio finanziario mondiale, come dimostrano i recenti Presidenti della Repubblica e Primi Ministri – salvo il parvenu Berlusconi veramente anomalo e autarchicamente italico – che si sono succeduti. Monti docet, inchinandosi alla Fiat dimenticando di essere un Primo Ministro e non un funzionario del capitalismo.

Che volete che si conti, dunque, in Europa? Come si vuole che l’Italia abbia voce in capitolo in Europa? Siamo sempre stati terreno di conquista e lo saremo sempre. Tutto sta a vedere come arriveremo al traguardo del prossimo secolo: se ancora con il nostro ristretto ma altissimo bagaglio di competenze tecnologiche e intellettuali – conquistate grazie alla oggi bistratta economia mista – o in preda a un delirio turistico-agricolo che ci farebbe tornare indietro di duecento anni. Accomodatevi, ma leggete e studiate i ponderosi libri e non le menzognere gazzette.