Il professor Francesco Forte, ex ministro delle Finanze, non cambia idea di fronte al nuovo “pacchetto” emendato delle liberalizzazioni approvato ieri dal Senato: «Qui di liberalizzazioni con la “l” maiuscola non se ne vede neppure l’ombra. In questo modo, le nuove disposizioni sembrano un optional». È un giudizio duro, quasi irridente, ma di certo non compiaciuto da parte di un economista che vorrebbe che questo Paese cambiasse veramente, che voltasse pagina una volta per tutte.



In sostanza, Professore, che cosa ha ottenuto il governo Monti con questo “pacchetto”?

Insomma hanno sistemato un poco le farmacie, con la possibilità di averne altre cinquemila in Italia. Chissà quale importanza può avere ai fini dello sviluppo economico del Paese. Hanno fatto marcia indietro, una sorta di retrocessione per i taxisti e hanno messo nuove regole sugli ordini professionali. Una serie di disposizioni simboliche, che non risolvono affatto i problemi di fondo. Hanno rinviato, forse con un criterio condivisibile, lo scorporo della rete tra Snam ed Eni. E tutto il resto se lo sono dimenticato. Sarebbe meglio dire che, quel tutto, non vogliono affatto toccarlo.



A che cosa si riferisce in particolare?

Tutte le reti dei servizi pubblici locali, i trasporti ferroviari, che sono gestiti malissimo, la rete della modernizzazione, quella della banda larga. Ma come si fa a dire che questo “pacchetto” di liberalizzazioni è veramente necessario al Paese? Faccio alcuni esempi. Ci sono tratti ferroviari che sono stati cancellati: la Colico-Chiavenna, ad esempio, che servirebbe a convogliare molti turisti; la Reggio Calabria-Catanzaro, lasciando così il capoluogo di una regione senza un collegamento importante. Per carità di patria, non parliamo della gestione ferroviaria della Sicilia. Ma sto solo facendo esempi indicativi. Ecco questi problemi non vengono neppure considerati.



Secondo lei, chi frena le vere liberalizzazioni in questo Paese?

Guardi, sulla liberalizzazione dei servizi locali ha avuto una grande responsabilità anche la Lega Nord, legata a un localismo che non aveva senso. Per il resto c’è il Pd, che è un partito corporativo, collegato alle idee della Cgil. Poi c’è l’Udc che non dice niente oppure ripete che va tutto bene. Infine, io credo che lo stesso Mario Monti e il Pdl abbiano anche voglia di voltare pagina in alcuni settori importanti, ma con questo governo di coalizione, talmente vasto, non si cambia nulla. Poi ci sono le grandi lobbies, quelle che, in un intreccio di interessi, non vogliono affatto liberalizzare le grandi reti.

Il problema è certamente di difesa di interessi, ma probabilmente anche di mentalità.

Sicuramente. Si è mai visto che a fare le liberalizzazioni siano persone che sono, come cultura economica, ideologicamente dirigiste? Non è stato ancora liberalizzato l’appalto delle grandi opere. Un discorso si dovrebbe fare anche sulla Protezione civile, per interventi più rapidi in alcune occasioni. Non parliamo del mercato del lavoro, che sarà poi un altro dei veri banchi di prova. Qui il punto di riferimento resta la proposta di Pietro Ichino, che parte dal contratto unico nazionale. Il contrario di quello che si dovrebbe fare. E cioè, una volta stabilite delle regole generali, in ogni azienda le parti sociali raggiungono il contratto che vogliono, tenuto conto di necessità differenti, di un’enormità di differenze. Da noi, quando si fa il contratto per i metalmeccanici bisogna mettere al suo interno anche quello degli elettromeccanici.

 

L’impressione è che sia uno Stato che non ha voglia di affrontare questa svolta necessaria. Non lo ha fatto in passato, quando ha privatizzato alcuni settori dell’economia, ma non lo fa neppure adesso.

 

Qui c’è un modo paternalista di gestire i problemi. Mi scusi, ma liberalizzare significa togliere alcuni vincoli. Guardiamo anche la questione degli ordini professionali. Una volta fissate nuove regole, che cosa si liberalizza? Si fanno solamente nuove regole, si stabiliscono nuovi obblighi. È la concezione contraria ai processi di liberalizzazione. Ed è per questa mentalità, che certamente è il prodotto antico di una serie di interessi, che le vere liberalizzazioni, quelle che servirebbero a creare nuova occupazione e sviluppo, non si fanno.

 

A questo punto, mi pare che lei sostenga che l’azione del governo si riduce solo a una questione di immagine con questo nuovo “pacchetto” emendato.

 

Finora è così. Ripeto, queste cosiddette liberalizzazioni sono un optional. Magari ce le avrà chieste qualcuno, perché siamo in una condizione di “guardati a vista”. Ma non ne sono nemmeno sicuro. Non so quale interesse possano suscitare anche da chi ci osserva come Paese che dovrebbe liberalizzare la sua economia.

 

(Gianluigi Da Rold)

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