Su cosa si basa la “perfetta intesa” dichiarata tra Marchionne, Elkan e Monti all’uscita del loro incontro a Palazzo Chigi? Come mai Monti non ha esitato a schierarsi a fianco di Marchionne nell’ultimo convegno della Confindustria, ambiente nel quale le simpatie per Marchionne non sono particolarmente vivaci? Quali vantaggi potranno scaturire per l’Italia da una convergenza che molti stentano a capire?



Un’intesa che nasce da lontano

Questa sintonia non nasce per motivi contingenti, non ricerca accordi tattici. Non è un modo per rivangare radici comuni, essendo stato Monti consigliere Fiat dal 1988 al 1993. Nessuno dei due è un nostalgico di un passato nel quale sono avvenuti parecchi errori e che entrambi riconoscono come tali. Prima gli aiuti a pioggia che i precedenti governi non lesinavano agli Agnelli, poi il blocco della vendita di Alfa a Ford e, per venire all’era Marchionne, i vari incentivi per la rottamazione. Nonostante fossero stati concepiti per agevolare il mercato dell’auto, Marchionne si è sempre mostrato scettico sulla loro utilità.



Entrambi sperano che questi errori non abbiano a ripetersi ed entrambi guardano a un futuro non facile, ma che può essere affrontato solo nel rispetto delle regole. Il mondo è complesso e produrre e vendere milioni di vetture che devono essere acquistate da milioni di persone e circolare in paesi molto diversi non può essere basato su favori. Solo se ciascuno fa la sua parte c’è speranza per tutti.

Solo se la Fiat produce automobili, investendo dov’è conveniente, facendo gli accordi più vantaggiosi, potranno scaturirne vantaggi per gli italiani, intesi come consumatori, lavoratori, e beneficiari dell’indotto. Solo se lo Stato fa il suo mestiere e crea le condizioni per le quali sia conveniente venire a investire in Italia ci può essere un vantaggio per Fiat.



Questo è credibilmente quello che si sono detti e promesso a Palazzo Chigi. Monti si impegnerà a creare le condizioni per le quali torni conveniente venire a investire in Italia. Per questo non solo si impegnerà sulle riforme del lavoro, sulla giustizia, sulle liberalizzazioni e sulle altre tematiche in grado di ripristinare la competitività del Paese, ma farà promozione all’estero (imminente il suo viaggio in Oriente) per convincere investitori esteri a tornare in Italia. Non servirebbe a nulla convincere Fiat se questo rimanesse un caso isolato.

La Fiat dal canto suo si impegna a fare fino in fondo il suo mestiere, cioè a considerare i vari mercati, sia dal lato della domanda che dell’offerta. Per questo sta considerando un suo rientro in Confindustria (a certe condizioni), sta pensando di innalzare i salari degli operai, oggi troppo bassi, in funzione degli incrementi di produttività, sta ipotizzando il potenziamento degli investimenti in ricerca e sviluppo.

L’Italia deve diventare un Paese attrattivo, cioè un luogo in cui è conveniente venire a lavorare ed investire. La Fiat deve essere innanzitutto redditizia, cioè produrre utili nel lungo periodo, il che significa generare ricchezza, condizione essenziale per poterla distribuire.

 

Un auspicio

La cosa di cui avrebbe bisogno l’Italia è un ritorno alla normalità. Un Paese che non ha bisogno di eroi, di giudici che si sostituiscano ai politici, di interventi e manovre straordinarie, di favori da chiedere ai vari potenti di turno.

Monti e Marchionne si augurano proprio questo: un ritorno alla normalità, un Paese nel quale gli industriali lavorano per produrre ricchezza per loro, per gli azionisti, per i dipendenti e per i fornitori. Un Paese nel quale lo Stato non intervenga, come nel recente passato, con interventi che hanno lo scopo di compensare, artificialmente, alcune parti penalizzate, ma che si limiti a creare le condizioni nelle quali gli imprenditori possano operare al meglio.

La sfida della normalità è la vera sfida e quella che ci permette di giudicare della solidità e della maturità di un Paese.