La riforma del mercato del lavoro impostata dal governo cerca di togliere alcune rigidità, ma non mostra di poter ridurre i costi delle aziende, perfino aumentandoli. Le linee guida della riforma fiscale, il cui iter dovrebbe essere avviato venerdì prossimo, non sembrano ridurre i carichi fiscali sulle attività economiche, anzi promettono di aumentarli. Così non usciremo dalla crisi.
Non è una critica al governo. Ha stretti margini di manovra tra i vincoli posti dai partiti e deve tenere in priorità i requisiti di credibilità del debito italiano imposti sia dal mercato internazionale, sia dall’Ue, che richiedono il pareggio di bilancio entro il 2013. In tale ambiente il governo non può sperare di avere il consenso per un taglio sostanziale della spesa pubblica che poi permetta di ridurre, o almeno di non alzare ulteriormente come temo avverrà, le tasse. Inoltre, poiché il modello di governo d’emergenza implica la convergenza di destra e sinistra, se il leader della sinistra dice a Monti che la riforma del lavoro deve uscire con il consenso dei sindacati per evitare che la sinistra stessa si spacchi, è ovvio che una riforma così condizionata non potrà rimettere le ali alle aziende e far volare la crescita dell’Italia.
Tale situazione di blocco sul lato delle riforme di efficienza (vere liberalizzazioni, imprese alleggerite di costi e taglio della spesa pubblica inutile) lascia aperta al governo solo la strada di alzare le tasse per riequilibrare il bilancio statale. Ma un riequilibrio fatto solo di drenaggi fiscali impedirà il riequilibrio stesso, in quanto la minor creazione di ricchezza ridurrà il gettito fiscale. In sintesi, con questa maggioranza ecumenica il governo fa quello che può, ma non è sufficiente, né lo sarà, per bilanciare il rigore con più crescita.
Monti se ne è certamente accorto e per questo ha annunciato la sua presenza sul tavolo delle trattative con i sindacati. Ma temo che otterrà poco. Pertanto bisognerebbe cominciare a pensare a un governo Monti 2 retto su una maggioranza più decisa a sostenere le riforme di crescita. E Monti stesso, a mio parere, dovrebbe chiamare tale maggioranza chiarendo che serve a gestire la seconda emergenza, l’assenza di crescita, generata dall’avvio di soluzione della prima, il rigore. E poi tirare diritto con cambiamenti veri e candidarsi alle elezioni del 2013 con un programma di continuazione delle riforme di efficienza.
Forse sto scrivendo un’ingenuità politica, ma sarebbe più ingenuo sperare di uscire dalla crisi senza azioni chiare, determinate e incisive. Per esempio, se i sindacati non ci stanno il governo deve andare lo stesso in parlamento con una riforma calibrata per aumentare veramente l’efficienza e non per soddisfare i vecchi protezionismi irrealistici e soffocanti. E dovrebbe andarci spiegando che la riforma del lavoro è una materia di interesse generale e non perimetrabile solo come trattativa governo-Confindustria-sindacati. Tutto il sistema economico è coinvolto: se il lavoro non diventa flessibile le imprese non cresceranno e impediranno la ripresa di tutti gli altri settori del mercato. Pertanto è materia politica generale da trattarsi in parlamento e non fuori.
Ovviamente è importante negoziare con i sindacati per evitare conflitti. Ma tale requisito non deve spingersi al punto da annullare l’effetto propulsivo della riforma. Per questo caso e per gli altri serve una forza politica, una maggioranza, a sostegno del governo. Quindi smettiamola con la farsa del governo tecnico e della maggioranza ecumenica e diciamo chiaramente a Napolitano di sollecitare una maggioranza politica per un Monti 2.