Lo spettacolo continua, come dicono gli americani, o questa volta si abbassa il sipario? Si tratta della situazione della Rai, quella che viene definita la più grande impresa di informazione, cultura e spettacolo del Paese. E’ evidente che il sipario, in caso si complicassero le cose, non si abbasserebbe di colpo. Ma qualche problema, che è rimasto sotto traccia per anni, potrebbe manifestarsi in modo piuttosto complicato e virulento.
Facciamo un quadro riassuntivo. Il 28 marzo, cioè tra otto giorni, scade il mandato del consiglio di amministrazione e bisogna rinnovarlo. “Vaste programme”, commenterebbe il generale De Gaulle con enfasi ironica, perchè ogni intervento sulla Rai, su eventuali cambiamenti, nuovi presidenti, nuovi direttori generali, nuovi direttori di rete e telegiornali, provoca più sconquassi politici che un nuova impennata dello spread o della pressione fiscale. Da quello che trapela da Saxa Rubra, si parla di una situazione inquietante di stallo, di un impasse, anche in vista della scadenza del 28 marzo, da cui non si riesce a comprendere come si possa uscire in modo, usiamo un eufemismo, decentemente virtuoso.
Tanto per cambiare, nella grande maggioranza, che sorregge ufficialmente il “governo dei tecnici, c’è una confusione, una litigiosità e un’autentica lotta di potere che oscura i gravi dissidi su questioni, in un momento di crisi economica come questo, ben più rilevanti. Sono i partiti che si dividono in modo durissimo. Da un lato ci sono Pdl e Lega Nord che non vogliono mutare, neppure di una virgola, il metodo e il modo di nomina del Cda, previsto dalla celebre legge Gasparri. Dall’altro c’è il Pd, accompagnato da Gianfranco Fini e da Pierferdinando Casini che premono, a quanto si dice, per un commissariamento della Rai. Su questa posizione c’è anche il potente sindacato interno della Rai, la celebre Usigrai. Il motivo di una simile scelta è determinata dal fatto che, mancando poco tempo, è difficile che si possa fare ricorso a un decreto, che poi dovrebbe siglare il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, approvandolo entro una settimana. Si tenga conto che l’ultimo vertice sulla Rai, convocato da Mario Monti, è stato disertato platealmente da Angelino Alfano.
Un commissariamento però non sembra teoricamente giustificato. Il bilancio della Rai, al momento, appare in pareggio, anzi in lieve utile, anche se non si capisce bene come sia stato fatto quadrare. Da alcuni giorni circola con una certa insistenza il nome di Bondi, non il pacioso e bonario Sandro, ma l’asciutto e legnoso Enrico Bondi, integerrimo risanatore e “tagliatore” di bilanci, con esperienze in Montedison, ma soprattutto in Parmalat dopo il crak catastrofico. Difficile immaginare che cosa Bondi riserverebbe come “medicina da digerire” alla Rai e ai suoi dipendenti.



Ma c’è anche un’altra soluzione, tipica della vecchia tradizione degli “azzeccagarbugli” italici: la “prorogatio”. Il ricorso al latino, non è dovuto all’ amore per i classici, ma a un escamotage di confusione lessicale, adattissimo in casi come questi. In pratica si andrebbe avanti per qualche mese, magari anche per più di un anno, con l’attuale presidenza e l’attuale consiglio di amministrazione, in attesa o di un grande accordo, un “accordone” tra i partiti, oppure, più probabilmente, aspettando l’evoluzione della situazione politica e il nuovo inevitabile risultato elettorale. Se dovessimo scommettere un euro, punteremmo su quest’ultima soluzione, il “grande rinvio”, carissimo agli italiani, sia del Palazzo che della società civile.
Ma in tutto questo c’è da considerare la situazione oggettiva della Rai che, secondo alcuni analisti (ma anche di quelli che ci lavorano da anni all’interno) appare più che problematica. Nonostante il pareggio di bilancio, la Rai è in calo di ascolti, in calo di pubblicità (c’è la crisi), in calo sulla riscossione del canone (c’è sempre la crisi), in declino da un punto vista di innovazione tecnologica. Tv Sat (piattaforma satellitare) non sa più nessuno dove sia finita; il digitale al Tg2 è ancora da fare o concludere. Sono solo due esempi di “smarrimento”. A ben vedere, dicono sempre gli analisti più attenti, non sono tante le attuali, possibili e magari corrette acrobazie di bilancio a preoccupare, ma il futuro, le previsioni per la Rai del futuro. In condizioni come queste, la Rai rischia nel giro di pochi anni di diventare una sorta di vecchia Alitalia sul conto del Tesoro. Il rischio peggiore, in simile condizioni, è la situazione di “stallo” che si sta vivendo.
La Rai non deve oggi fare solo i conti con la concorrente generalista Mediaset, ma con la nuova “offerta” di Sky, che copre informazione generale, quella finanziaria e sportiva in particolare, ma anche altre scelte che soddisfano sempre di più un pubblico disaffezionato alla televisione generalista. Circola anche un’altra voce, strana in verità. C’è chi si oppone con comunicati settimanali a qualsiasi forma di privatizzazione, parziale o totale della Rai. Il problema è che sinora qualche rara voce coraggiosa l’ha ipotizzata, ma il Palazzo e i suoi supporters, sia di destra che di sinistra, in questo caso, non ne vogliono nemmeno sentir parlare.

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