La ripresa, appena annunciata, è già finita? Oppure le turbolenze di questi giorni sono solo un acquazzone destinato a rientrare? Lo yo-yo delle previsioni economiche, più capriccioso e volatile del meteo, dopo uno squarcio di sereno torna a segnalare rischio di pioggia, se non di tempesta. E le Borse, dopo aver macinato tanta strada (a vantaggio dei non molti che non si sono fatte cogliere dal panico), sembrano entrate in una nuova fase di stallo, anticipando una possibile congiuntura negativa.
Al di là degli aspetti finanziari, l’economia non vede l’uscita in fondo al tunnel. E qualcuno dispera che le cose siano destinate a migliorare. L’euforia per l’accordo greco, dunque, è già svanita. E qualcuno, anzi, fa notare che il default pilotato, che è costato un paio di miliardi alla grande finanza internazionale, presto si rivelerà un boomerang. A onor del vero, però, non mancano gli ottimisti. Anzi, mai come in questo momento gli eserciti degli economisti si sono confrontati con tanta asprezza.
Basti, tanto per dare un’idea, il paradosso di Goldman Sachs. La casa d’affari, sempre prestigiosa nonostante le nubi di questi giorni, ospita sia David Kostin, strategist del mercato americano, che prevede un ripiegamento dei listini sull’onda del caro greggio e della debolezza di fondo dell’economia, sia Jim O’ Neill, uno dei banchieri d’affari più noti, che prevede un robusto rally legato alla ripresa della corsa degli Emergenti: entro il 2014, spiega, i Bric (Cina, Brasile, India e Russia) avranno un Pil superiore al G7, escluso il Giappone. Entro il 2020, aggiunge, queste quattro economie più Corea del Sud, Messico, Turchia e Indonesia varranno il doppio di Ue e Usa messi assieme. Con un motore di queste dimensioni, è il suo ragionamento chi se ne frega dei problemi del Portogallo o della Grecia. “Ma lo sapete che ogni 11 settimane e mezzo l’economia cinese cresece tanto quanto l’intera Grecia?”. Certo, l’Europa conta ancora qualcosa. “Ma finché l’Italia fa le cose giuste – aggiunge – non darà alcun problema”.
Sarà, ma uno degli analisti più stimati, William Buiter di Citigroup, ha appena inferto un pugno nello stomaco degli eurottimisti. La soluzione greca, ha detto, non può reggere più di qualche mese. Atene dovrà ristrutturare di nuovo e stavolta sarà davvero dura, perché nessuno si fida più dei titoli greci. O di quelli di Irlanda e Portogallo, che sono vicini al capolinea. Dove, se non cambia rotta, verranno presto raggiunte dalla Spagna, “che sta facendo le cose nel modo peggiore”.
Insomma, dopo una breve primavera, l’Europa scopre che la guerra contro la recessione è tutt’altro che vinta. Anche perché ci sono almeno tre ostacoli esterni che possono rendere tutto più difficile.
1) Il rallentamento della Cina. Ogni giorno arrivano segnali di frenata della seconda economia del pianeta, mescolati all’eco della battaglia politica in corso per il rinnovamento dei vertici del Partito e dello Stato. Il premier Wen Jiabao ha sottolineato che quest’anno l’economia crescerà “solo” del 7,5% in omaggio alla scelta di frenare uno sviluppo disordinato e alla lunga insostenibile. In realtà, il Drago sta facendo i conti con una bolla immobiliare di proporzioni bibliche che minaccia di devastare i conti delle grandi banche pubbliche da cui dipende buona parte dell’economia, fino alle commesse per le Pmi. La congiuntura economica viene amplificata dal confronto politico in atto che coinvolge nuovi e vecchi ricchi alle prese con il malcontento di una popolazione che ha pagato un prezzo altissimo allo sviluppo impetuoso di questi anni. Le purghe nei confronti di Bo Xilao, ex sindaco di Chonquing, sono la punta dell’iceberg di un confronto durissimo.
2) Le tensioni sul fronte dei prezzi dell’energia. Nonostante le dichiarazioni “forti” di Al Naimi, ministro saudita del petrolio (Riyad è pronta ad aumentare la produzioine fino a 2,5 milioni di barili al giorno se necessario), le quotazioni del petrolio si mantengono su valori alti che potrebbero esplodere al rialzo in caso di crisi militare tra Israele e Iran. Nell’attesa, gli sforzi americani per calmierare i prezzi (vedi il calo degli stock negli Usa) non hanno avuto grande successo: la benzina così si mantiene su livelli alti, oltre i 4 dollari al gallone. Forse l’incognita maggiore per una rielezione di Barack Obama.
3) La partita delle elezioni Usa si avvia alla fase cruciale. I segnali di ripresa, oltre Oceano, si avvertono forti e chiari. Ma la tendenza è tutt’altro che consolidata. Si profila così una stagione insidiosa: a giugno, in particolare, la Fed si troverà a un bivio: confermare la politica di tassi quasi zero, incurante del rischio inflazione. Oppure, come chiedono i “falchi” è arrivata l’ora di riportare il costo del denaro su livelli normali? Nel primo caso, salvo sorprese clamorose, Barack Obama arriverà al voto di novembre con ampie possibilità di vittoria, grazie alla ripresa dell’occupazione. Altrimenti, è tutt’altro che da escludere una correzione al ribasso delle Borse accompagnata da un brusco rialzo dei rendimenti dei Bond.
Le incognite internazionali, insomma, non mancano. E minacciano di colpire nel cuore la possibile ripresa dell’Europa che, compressa com’è dalla politica del rigore, affida all’export le carte principali di ripresa. Difficile, però, che l’economia tedesca possa crescere se la Cina frenerà gli acquisti di Mercedes o Bmw. Per non parlare dell’impatto ancor più pesante del caro greggio sulle economie votate all’industria manifatturiera quale resta l’Italia. Una tempesta sui mercati, infine, scatenerebbe nuovi terremoti sul fronte dei debiti sovrani dell’area euro, destinati comunque ad affrontare, dopo i conflitti italiani sulla riforma del lavoro, turbolenze assai più gravi nel caso che dalle urne del del voto francese esca la volontà di ridiscutere l’accordo Ue.
In sintesi, è presto per abbassare la guardia: guai, per venire a cose italiane, se l’Italia non completerà il risanamento del deficit di modo da sterlizzare gli effetti sul debito di eventuali turbolenze sui tassi. Guai se il Paese non riuscirà a ricreare, con la riforma del lavoro, condizioni di investimento che consentano di far ripartire in qualche modo l’economia. Ma inutile illudersi: il passaggio resta stretto. Un conto, però, è saper tener nel debito conto i pericoli, altro è fasciarsi la testa in anticipo. L’Europa, a partire dall’Italia, non può permettersi il lusso di interrompere un necessario processo di trasformazione del mercato interno che accompagni la revisione del welfare alla luce della sostenibilità. E chi saprà muoversi prima e meglio su questi terreni conquisterà un vantaggio competitivo prezioso per costruire il proprio futuro.
Purtroppo la riforma del lavoro parte, come ha sottolineato Michele Salvati, nel momento peggiore, vuoi per le difficoltà della congiuntura (che rende tangibile il rischio di licenziamenti per motivi economici), vuoi per la povertà delle risorse pubbliche (che rende problematico il finanziamento degli ammortizzatori sociali). Ma, si sa, le cose migliori gli italiani le sanno fare nel momento dell’emergenza. In fin dei conti, l’animale che ci assomiglia di più è il calabrone che, testi di fisica alla mano, pesante com’è non potrebbe volare.