È giunta l’ora di abbattere il debito pubblico? È la domanda che inizia a circolare pure nel governo, oltre che tra gli esperti, dopo la messa in sicurezza dei conti pubblici (decreto “Salva-Italia”), le liberalizzazioni (decreto “Cresci-Italia”) e la riforma dei licenziamenti individuali per motivi economici. Ma nel governo, e fra i tecnici dell’esecutivo, ci sono diverse sensibilità e si ipotizzano diverse opzioni.



A Palazzo Chigi non si avverte, almeno per il momento, l’urgenza di accelerare in operazioni taglia-debito che facciano anche ridurre il rapporto debito/Pil. Anche su questo tema c’è sintonia tra il premier Mario Monti e i ministri Piero Giarda (Rapporti con il Parlamento) ed Enzo Moavero (Affari europei). La loro impostazione è la seguente: il pareggio di bilancio nel 2013 determinerà un’automatica discesa del costo del debito in termini di interessi e quindi dello stesso debito. Il corollario della tesi è: se tagliamo il debito, lanciamo indirettamente un messaggio lassista sulla spesa corrente.



Comunque i tecnici dell’esecutivo, a partire da quelli del Tesoro, stanno studiando le esperienze francesi e tedesche per scegliere la via più corretta per privatizzare e abbattere contemporaneamente il debito pubblico. In questa operazione sarebbe centrale il ruolo della Cassa depositi e prestiti (Cdp), controllata al 70% dal Tesoro, presieduta da Franco Bassanini e guidata dall’ad Giovanni Gorno Tempini.

A Parigi lo Stato ha partecipato alla creazione di noccioli duri durante le due fasi di privatizzazione del 1986-88 e del 1993-97. E in Francia non escludono ulteriori, prossimi interventi di acquisizione di partecipazioni dello Stato con l’obiettivo di riduzione del debito pubblico. Diverso quanto accaduto in Germania, ad esempio quando nel 1997 il governo tedesco decise di vendere alcune quote possedute in Deutsche Telekom e in Deutsche Post. Successivamente, Eurostat sentenziò che con quelle operazioni non si poteva ridurre il debito pubblico. In altri termini non le considerò vere e proprie privatizzazioni.



Perché? Perché c’erano accordi fra Stato e KfW (banca di sviluppo di proprietà pubblica) per cui le operazioni non potevano essere considerate di mercato, secondo Bruxelles. In altri termini c’erano intese sottostanti secondo cui la KfW, in caso di successiva vendita delle quote a un prezzo minore, poteva rivalersi sullo Stato per la differenza tra costo d’acquisto e prezzo di vendita; mentre in caso di prezzo di vendita maggiore, la “plusvalenza” della Cassa tedesca doveva essere trasferita allo Stato al netto di una percentuale che si sarebbe trattenuta.

La ratio della decisione dell’Eurostat fu che non c’era stato un vero trasferimento del rischio dallo Stato alla KfW. Infatti, quando nel 2007 la KfW fu chiamata insieme con altri investitori a rilevare una quota di partecipazione del capitale di Eads dal Gruppo Daimler la Commissione Ue non ha avuto obiezioni, in quanto il rischio relativo alla partecipazione acquisita da KfW sarebbe rimasto pienamente in capo alla Cassa tedesca.

La morale che ambienti governativi traggono dalle esperienze francesi e tedesche si compone di tre aspetti. Primo: è possibile effettuare operazioni di abbattimento del debito attraverso una cessione di aziende statali alla Cdp. Secondo: la Cdp è pronta a effettuarle a tre condizioni, come ha detto Bassanini in una recente audizione parlamentare: “Non mettere a rischio il risparmio postale, la nostra classificazione fuori dalla Pubblica amministrazione e tenere conto che deve essere compatibile con l’attuale missione di sostegno all’economia e all’infrastrutturazione del Paese”. Infine, le operazioni si devono effettuare a valore di mercato per non incorrere in un no di Eurostat.

Una seconda opzione per tagliare il debito è quella suggerita da Arrigo Sadun, direttore esecutivo del Fmi, in un’intervista a Il Foglio di sabato scorso: un “sinking fund” che “potrebbe ricevere dei cespiti patrimoniali (mobili o immobili), ma anche flussi finanziari generati – almeno in parte – dalla riduzione del costo del debito pubblico oppure destinandogli una parte dei maggior introiti derivanti dalla maggior crescita”.

C’è anche l’ipotesi di un prestito forzoso, proposta da un manifesto scritto da Guido Salerno Aletta e da Andrea Monorchio rilanciato da MF/Milano Finanza e Italia Oggi. E ovviamente aleggia, anzi si rafforza in molti circoli politico-intellettuali in questi giorni, anche una terza opzione: un’imposta patrimoniale, variamente congegnata, per abbattere il debito pubblico.