Fulvio Coltorti, che ha diretto per molti anni l’ufficio studi di Mediobanca, è un economista troppo fine e intellettualmente onesto e ha aiutato troppi giornalisti milanesi a sbagliare meno nel loro lavoro per non dedicargli uno Spillo se non “ad honorem”. Il suo column domenicale sul Corriere non poteva essere più limpido nel leggere la “crisi etica” deflagrata in Goldman Sachs. E i comportamenti anomali denunciati – un po’ a babbo morto – da uno dei più stretti collaboratori del super-capo Lloyd Blankfein, erano già in parte identificabili, nei loro effetti economico-finanziari, in molte analisi uscite dagli uffici di Coltorti: puntuali nel segnalare tutte le accelerazioni malsane della turbo-finanza nei bilanci delle banche e in quelli delle imprese.



Quando Coltorti rammenta l’irriducibile “diversità” della banca ridotta invece a “impresa come le altre” da un ventennio di libero-mercatismo ideologicamente deregolato, lo fa dopo aver trascorso una vita in una banca che ha fatto della propria “diversità” (se non della propria “unicità”) un “brand”: anche e anzitutto nella propria solidità di bilancio, almeno fino a quando in Via Filodrammatici hanno governato Enrico Cuccia e Vincenzo Maranghi.



Semmai è nella parabola stessa di Mediobanca – sempre complessa e talvolta drammatica – che può essere riscontrabile la forza e la portata dello tsunami tecno-finanziario che ha spazzato mercati ed economie globali. Al giro di boa del 1999, Via Filodrammatici si presenta dopo aver cercato – con successo limitato – di assumere il controllo delle sue bin azioniste (Comit e Credit) attraverso ricapitalizzazioni. La nascente politica delle privatizzazioni “via public company” (da Ciampi, Prodi e Draghi) aveva obbligato invece Mediobanca a intervenire sul mercato; promuovendo la nascita di noccioli duri, peraltro non ad altissimo prezzo.



Le fusioni UniCredit e Sanpaolo Imi spingono invece verso le Opa del ‘99 (su Comit e Bancaroma) mettendo in discussione l’indipendenza di Mediobanca stessa. La crescita dimensionale via fusioni e acquisizioni è un “must” per il settore bancario che si globalizza, ma è il fatto che le banche stesse – i loro patrimoni, i loro bilanci, i loro azionisti e i loro manager – possano entrare in pieno nel gioco perennemente al rialzo dei mercati a cancellare quella “diversità” nel modo di essere imprese, tanto che in meno di un decennio il sistema è poi imploso.

Emblematica, peraltro, in quei primi mesi dell’euro, la reazione obbligata di Via Filodrammatici: cooperare con la madre di tutte le Opa su Telecom, il primo grande “falò” delle investment banks di Wall Street in Europa. Siamo certi che Coltorti – osservatore acuto di migliaia di “imprese” (non semplici “chip” in Borsa) abbia seguito in cuor suo con preoccupazione queste evoluzioni dell’economia-finanziaria. E siamo altrettanto sicuri che la propria fedeltà alla bandiera lo adombrerà un po’ nel vedere Mediobanca coinvolta nello scomodo ruolo di azionista-creditore-advisor nella crisi del gruppo Premafin.