È tornata la Champions League e con essa le due squadre spagnole, Real Madrid (vittorioso martedì per 3- 0 sul campo del sorprendente Apoel di Nicosia) e Barcellona (nel momento in cui chiudo e spedisco l’articolo non è ancora scesa in campo contro il Milan), approdate ai quarti di finale e, stando al giudizio di molti, destinate a dar vita a una finale tutta iberica a Monaco il prossimo 19 maggio. Ma proprio dalla capitale della Baviera, la scorsa settimana, sono giunte parole poco lusinghiere per il calcio spagnolo: «Per me è il colmo, è una cosa impensabile. La Germania ha dato centinaia di milioni di euro alla Spagna per uscire dalla crisi e poi i club non pagano i loro debiti. Non si può», questo il duro j’accuse del presidente del Bayern Monaco, Uli Hoeness.



Motivo di tanta rabbia, i dati resi noti dal governo iberico, che ha quantificato in 752 milioni di euro il debito delle squadre di Liga, Primera e Segunda Division verso lo Stato, un aumento di 150 milioni di euro dal 2008 a oggi. E se il Barcellona può sorridere pensando ai suoi 374 milioni di euro di debito, avendo un fatturato di oltre 450 milioni, lo stesso non si può dire né del Real Madrid, né tantomeno per tutti gli altri club della Liga, due dei quali già in amministrazione controllata. Il perché è presto detto: le squadre spagnole, tutte, sono legate mani e piedi al sistema bancario e questo, a sua volta, non solo è esposto per 400 miliardi di euro al sempre più devastato settore del real estate, ma dipende per sopravvivere dal denaro della Bce e, soprattutto, non ha più collaterale esigibile per ottenere finanziamenti.



Insomma, non è peregrino pensare che nel 2013 la Liga si comporrà unicamente di due squadre, né tantomeno pensare che campioni come Messi e Cristiano Ronaldo cercheranno altri lidi per il semplice fatto che i loro ingaggi faraonici non potranno più essere sopportati dai loro club, destinati a vedere i loro assets pignorati. Qualche mese fa era emersa la notizia che il gruppo bancario Bankia intendeva utilizzare proprio Cristiano Ronaldo e Kakà come garanzia presso la Bce per ottenere in prestito denaro necessario a finanziare il fondo di investimento Madrid Activos Corporativos V: grazie a quest’operazione l’istituto iberico era intenzionato a emettere obbligazioni pari a circa 773 milioni di euro per sostenere alcune aziende nazionali, ma anche il Real Madrid, che detiene i cartellini dei due campioni e le società di costruzioni del suo presidente, Florentino Perez. Nei fatti, quindi, la Bce potrebbe esercitare il suo credito pignorando le due stelle delle “merengues”, in caso Bankia divenisse insolvente e successivamente il Real Madrid, debitore verso la banca, non ripagasse il suo debito, assicurato a oggi dagli introiti generati dalla pubblicità e dai diritti tv.



Cristiano Ronaldo e Kakà sono stati acquistati nell’estate 2009 per un totale di 158 milioni di euro, grazie a un prestito proprio di Bankia e, nonostante Florentino Perez assicurò che i soldi non erano un problema grazie agli introiti super dei “blancos”, questo si è rivelato non del tutto esatto. Ben 76,5 milioni – cioè poco meno della metà del capitale totale investito per l’acquisto dei due calciatori – era stato fornito proprio da Bankia. In pegno per il prestito, l’istituto di credito aveva trattenuto parte degli introiti provenienti dai diritti tv del club madridista. Per garantire la trasparenza dell’operazione, Bankia informò l’autorità di vigilanza spagnola dei dettagli: il tasso di interesse pagato dal Real è pari all’Euribor a sei mesi più uno spread compreso tra l’1,5% e il 2,5% (condizioni che le famiglie e le imprese spagnole si sognano) e le rate di interesse sono semestrali, mentre il capitale viene restituito in tre tranche, il 3 luglio del 2012, 2013 e 2014.

Tra quattro mesi, insomma, una grande scadenza attende il Real Madrid, nel pieno di un periodo che vede la Spagna e le sue banche al centro di un’attenzione spasmodica da parte dei mercati. E lo stato di salute di Bankia è tutt’altro che confortante. Visto che fino al 21 marzo scorso, la Bce accettava come collaterale per i suoi prestiti qualsiasi genere di assets, l’istituto che tiene in ostaggio il Real, attraverso la sua controllata Banco Financiero y de Ahorros SA, ha emesso 15 miliardi di bonds con garanzia governativa spagnola e li ha utilizzati per ottenere denaro dall’Eurotower, acquistando essa stessa i bond che aveva emesso. Insomma, il gioco delle tre carte, anche se in ambito finanziario questa operazione al nome più esotico di “self-help transaction”. Ma non basta. Le banche spagnole sono esposte per circa 400 miliardi al settore immobiliare, la cui crisi continua ad acuirsi e il 2 febbraio scorso il ministro dell’Economia, Luis de Guindos, ha detto chiaro e tondo che le banche devono cominciare a scontare le perdite su quei prestiti per almeno 175 miliardi di euro, piuttosto che continuare a rifinanziarli come stanno facendo pur di mantenere “puliti” i loro bilanci. E proprio per questa pressione, gli investitori oggi chiedono un spread di rendimento di 753 punti base per detenere un bond di Bankia SA con scadenza 2017 rispetto al Bund pari durata: quando quelle obbligazioni vennero messe sul mercato nel 2007, lo spread richiesto era di 46 punti base.

Insomma, si traballa e non poco, visto che il Real è esposto verso Bankia su due fronti: diretto e indiretto, ovvero attraverso le società di costruzioni di Florentino Perez, nel pieno della crisi del settore. E c’è di più, in questo caso a livello generale. Se infatti fino a ieri in Spagna le squadre di calcio in difficoltà sono state salvate anche col denaro pubblico, d’ora in poi questo non sarà più possibile. Il perché è presto detto: il debito pubblico iberico, infatti, in un anno è salito dal 61,2% sul Pil al 68,5%, toccando la quota di 732 miliardi, cui sommare i 140,1 miliardi di euro di debito regionale. Ma anche in questo caso, si tratta di trucchi.

A fare le pulci ai veri numeri di Madrid ci ha pensato infatti la Phoenix Capital Research, secondo cui ai dati ufficiali (732 miliardi di debito pubblico, 68,5% del Pil) bisogna sommare il debito del settore privato pari al 227% del Pil e un’esposizione alla leva delle banche iberiche di 19 a 1. Eurostat, nel suo report del 29 febbraio scorso, faceva poi notare che le garanzie sovrane totali della Spagna alla voce “altro debito” sono pari al 7,5% del Pil, circa 72,2 miliardi euro di debito non contabilizzato. Quindi, facendo due conti della serva: debito sovrano ammesso 732 miliardi di euro, debito regionale ammesso 183 miliardi, debito bancario garantito 103 miliardi e altro debito sovrano garantito 72 miliardi. Totale, 1.090 miliardi di euro, ovvero una ratio debito/Pil reale del 113,2%.

Ma la Spagna paga anche altro. Uno studio di Danske Bank sottolinea, infatti, come nell’ultimo trimestre del 2011 il calo del prezzi degli immobili in Spagna è stato del 4,2%, il terzo peggior risultato di sempre anno su anno, il tasso di decrescita più veloce dal settembre 2009 e pari, a livello di impatto sul settore real estate, a un calo del 10% del Pil, visto che i prezzi sono tornati al livello del marzo 2005. Peccato che, come già detto, le già traballanti banche spagnole detengano più di 400 miliardi di euro in prestiti al settore delle costruzioni e del real estate, tutti garantiti da collaterale che sta perdendo valore a velocità record: di più, il numero di prestiti non performing – ovvero a forte rischio di non essere onorati – sta salendo in maniera esponenziale, avvicinandosi alla cifra monstre di 140 miliardi di euro.

Dunque, lo Stato non solo non può più salvare il calcio spagnolo, ma nemmeno garantire più i bonds autoemessi dalle banche – che stanno salvando il calcio a colpi di prestiti e fideiussioni – per ottenere soldi dalla Bce, visto che così facendo aumenta la voce “altro debito” che ingrossa il debito pubblico totale iberico. E con le banche senza altro collaterale eligibile in casa per continuare a mungere la mammella della Bce (il debito degli istituti iberici nei confronti di Francoforte è ulteriormente aggravato del 14% nel mese di febbraio, toccando il nuovo record di 152,4 miliardi), le stesse rischiano di vedere bloccata la loro operatività e trovarsi costrette a chiedere rientri immediati ai debitori o tagliare le linee di credito. A quel punto, se si tratterà di decidere tra il destino di Messi e quello del Paese in balia dei mercati, la favola dopata del calcio spagnolo conoscerà la parola fine, esattamente come il “miracolo” di Zapatero. E non sarà un happy ending.