Non c’è da rallegrarsi. Stando ai dati dell’Eurispes, una famiglia media – padre, madre e due figli -, per vivere, per lo meno, dignitosamente (ovvero, risparmiando su tutto, ma non facendosi mancare nulla di necessario) ha bisogno di almeno 30.276 euro l’anno, ovvero 2.523 euro al mese. Di soli alimenti, infatti, spende 825 euro (con una forbice compresa tra 950 euro al nel nord-ovest e 748 euro nel sud). Non solo: solamente un terzo delle famiglie italiane arriva serenamente a fine mese, 500mila stentano a onorare i mutui per la casa, mentre 20,3 milioni di contribuenti, il 49,1% del totale, ha dichiarato nel 2010 un reddito complessivo inferiore a 15.000 euro (ovvero, 1.250 euro al mese). In molti, per tirare a campare, sono costretti a fare un doppio lavoro. Almeno il 35% dei lavoratori dipendenti, secondo l’istituto di statistica. E, complessivamente, sarebbero circa sei milioni i doppiolavoristi che produrrebbero, ogni anno, un sommerso di ben 90.956.250.000 euro. Una serie di numeri e problemi che si concatenano, susseguendosi l’un con l’altro. Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre, interpellato da ilSussidiario.net spiega come interpretare la situazione. «Anzitutto, la valutazione dell’Eurispes è oculata, e corrisponde al vero: 2500 euro sono una cifra del tutto plausibile, specie se si pensa agli aumenti di luce, acqua, gas e benzina, o al costo delle manutenzioni ordinarie e del cibo. Per una famiglia morigerata che manda i figli a scuola è il minimo. Anzi, per spendere tanto occorre che la famiglia sia particolarmente strutturata e controllata, che non si conceda niente di più dell’indispensabile».
I dati assumono tonalità ancor più drammatiche o beffarde, a seconda dei punti di vista, se si considera il contesto fiscale italiano. «Poniamo il caso che la base imponibile di un lavoratore con moglie e due figli a carico sia di 30.000 euro. In Francia, grazie al coefficiente familiare, la famiglia pagherebbe circa 348 euro; in Italia circa 5.000 se monoreddito, circa 3.800 se bi-reddito» Resta da capire se Oltralpe si perseguano tali politiche perché si sia compreso il valore, anche economico, della famiglia o perché vige un regime assistenzialista. «Il fatto che è in Francia, a differenza che da noi, i soldi li spendono per la gente». Tutto ciò non prelude a nulla di buono. «Ho un’età che mi consente di ricordare quanto avveniva negli Anni ’50; quando le famiglie, specie nel mondo operaio, arrivavano al punto di prestarsi il cibo tra di loro. O l’occorrente per comprare l’indispensabile per sopravvivere al giorno dopo. Alcuni sintomi fanno temere che stiamo tornando a quei tempi. Mi auguro che i sintomi restino tali. E che la malattia non scoppi».
In cosa sperare, quindi? «Se usciamo dalla crisi, riprende l’occupazione. Ma si deve, prima, capire che questa è una crisi di consumi, non di produttività. Ovvero, alla gente mancano i soldi in tasca per l’essenziale». Prova ne è il calo del risparmio privato. «Fino a pochi anni fa le famiglie italiane erano le seconde al mondo per capacità di risparmio. Tale propensione è notevolmente calata nel tempo, sono scese di svariati livelli perché, semplicemente, non sono più in grado di metter nulla da parte». Secondo Bortolussi, «non ci sono, alternative a politiche di redistribuzione del reddito che consenta a tutti di sopravvivere».
Ma non solo: «L’economia deve riprendere a marciare. In tal senso sarà fondamentale che le banche iniettino liquidità nel sistema. E che, al più presto, decidano di consentire erogazioni di credito anche di entità minima alla imprese. Per pagare le utenze, magari». Si diceva di chi ha un doppio lavoro. «Sei milioni corrispondono a 2,7 milioni di unità di lavoro standard. Dentro c’è di tutto. Chi arrotonda per vivere, chi per mandare i figli a scuola. E il sommerso, secondo le mie stime, addirittura è sopra i 100 miliardi. Certo, si tratta di un danno per le imprese che devono pagare e subiscono la concorrenza sleale». Ma, anche in tal caso, bisogna leggere la realtà nei suoi risvolti: «Paghiamo più tasse di tutti i paesi europei, esclusi Svezia e Danimarca. Ove, tuttavia, vi è un tasso di coesione sociale estremamente elevato e servizi avanzati in tutti i campi».
Le cose, in Italia, sembrano volgere al peggio: «La pressione fiscale continuando drammaticamente ad aumentare. Ci sono aziende che arrivano al 65% di imposizione tributaria. Gli imprenditori che si suicidano rappresentano un grido che va raccolto. Non si tratta di “deboli”, ma di uomini disperati che, magari, vantano crediti nei confronti dello stato e, prima di compiere l’estremo gesto, pagano tutti i loro debiti. Ma sono convinti di non aver alternativa perché, semplicemente, non c’è più lavoro e la loro impresa, in ogni caso, chiuderà».
(Paolo Nessi)