Sicuramente l’Agenzia delle Entrate sta creando “tesori” o “tesoretti” per le casse esangui dello Stato. Secondo i dati che vengono sfornati, ci sarebbe stato un recupero dell’evasione di quasi 13 miliardi di euro, che, in percentuale, registrerebbe nel 2011 un +15,1% rispetto all’anno precedente. Oramai il dottor Attilio Befera e i suoi funzionari sono diventati più popolari degli anchormen televisivi. Tra le altre cose sono portatori anche di nuovi messaggi culturali. È stato infatti comunicato che gli accertamenti in stile Cortina continueranno: “Rientrano nella nostra attività ordinaria e proseguiranno. Si tratta di operazioni che vengono messe in campo dopo una selezione accurata. Non controlliamo chi passa per caso”. Ci sono alcuni dubbi che nascono da queste dichiarazioni. Il primo è sempre quello che si chiedono tutti: come è possibile conciliare la crescita con una pressione fiscale così alta, che, considerando il Total tax rate, è la più alta del mondo, con un aspetto punitivo per le imprese italiane? Il secondo dubbio che ci si pone è: come avvengono queste selezioni? Se si già dove andare a colpire, perché non lo si fa direttamente senza enfasi e spettacolarizzazioni? Ugo Arrigo, docente di Scienza delle Finanze all’Università Bicocca di Milano appare scettico sia sulla conciliabilità tra tasse e crescita, sia sulle operazioni tipo Cortina. Spiega Arrigo: «Innanzitutto, quando parlano di recupero delle tasse non si capisce mai se siano tasse o l’imponibile. In ogni caso, la pressione fiscale in Italia, soprattutto per le imprese non ha pari al mondo. E in questo momento non mi sembra proprio conciliabile con una politica della crescita».
E sulle operazioni tipo Cortina?
Ma se sanno chi devono colpire perché non lo fanno da casa? Almeno si risparmiano i costi delle ispezioni (spostamenti, alberghi). Su questo punto la mia impressione è negativa, mi viene da dire ironicamente che stanno preparando un nuovo film natalizio: “Vacanze fiscali a Cortina”, sponsorizzato da Monti e Befera. Che senso ha tutto questo?
Quello che colpisce è però il livello della pressione fiscale sulle imprese, quando si è dimostrato che per crescere quasi tutti i paesi, persino gli scandinavi, l’hanno abbassata.
E così facendo ottengono anche un gettito più alto. Il fisco in Italia è distorsivo. Colpisce i più deboli e colpisce quelli che producono di più, quelli che sono più attivi. In altri termini va a cercare i soldi dove si vedono, dove si possono trovare. Anche in questo caso, in una situazione come questa viene, da pensare che si muovono come lo Sceriffo di Nottingham, oppure applicano aliquote che si possono definire, tra virgolette, “aliquote mafiose”, perché calibrano il prelievo in base alla capacità di sapersi muovere sul mercato. In queste condizioni è ipotizzabile che alla fine le aziende vadano a produrre in altre parti del mondo.
Si discute ormai da tempo su una tassa come l’Irap, sconosciuta in tutto il mondo.
Guardi l’Irap ha un senso perché finalizzata ai servizi sanitari. Ma è l’aliquota al 33% che ha poco senso. Teniamo l’Irap, ma abbassiamo almeno contemporaneamente i contributi sociali. L’ho già detto e lo ripeto: assumere una persona in questo Paese è quasi un lusso, è l’attività più costosa che ci sia. Insomma non è possibile non comprendere che alcuni non pagano le tasse perché non ce la fanno in una situazione come questa. Alcuni reggono, altri non ce la fanno proprio e sono costretti a chiudere. Ritengo, ad esempio, che abbia ragione Mario Baldassarri quando dice di eliminare tutti i sussidi che molte aziende riescono a prendere dallo Stato sotto diverse forme. Meglio fare per tutti una detrazione fiscale, così si evitano intrecci e favori senza senso.
Sembra che ormai il fisco arrivi prima dello stesso ordinamento costituzionale.
Questo è quanto fanno intendere, andando a pescare soldi dove possono trovarli. Ma quello che fa impressione è che mentre si combatte l’evasione, non si comprenda che la pressione fiscale è altissima, inconciliabile con la crescita, e nello stesso tempo non si faccia una piega, non ci sia alcun ritocco serio e reale alla spesa pubblica. Questa è una scelta che alla fine non può reggere.
(Gianluigi Da Rold)