Ogni tanto torna in televisione un film del 1956 (il primo a varcare la cortina di ferro dopo la morte di Stalin e anche a prendere un premio a Cannes): “Il Quarantunesimo” di Grigorij Ciukraj. Narra di una tiratrice scelta sovietica che durante la guerra civile aveva ucciso ben quaranta soldati “bianchi” (ciascuno con un colpo solo di carabina); presone uno prigioniero, se ne innamora perdutamente (il film mostrava anche un nudo femminile integrale, immagine inaudita in Occidente e ancora di più nell’Urss dell’epoca), ma quando il giovanotto sta per scappare lei gli spara e fa freddo “il quarantunesimo”.



Il film è venuto in mente al vostro “chroniqueur” leggendo un lavoro di un giovane storico dell’economia monetaria, Jonathan Tepper, che guida il “think tank” Variant Perception, un’etichetta che è tutta un programma. Da bravo storico, Tepper documenta che negli ultimi 100 anni 69 unioni monetarie sono finite a pezzi e che, pur se ogni volta non è mancato chi ha paventato che stesse arrivando il diluvio universale, nel lungo periodo di solito i benefici sono stati superiori ai danni. Non credo che Tepper abbia visto il vecchio film di Chiukraj. Tuttavia, perché l’unione monetaria europea non dovrebbe essere la settantesima a saltare?



Alcune anime belle e pie pensavano che la ristrutturazione del debito greco avrebbe fatto uscire l’eurozona dagli scogli in cui si era incastrata. È stata – dice Ramesh Jaura, direttore per l’Europa dell’International Press Service -“una vittoria di Pirro”. Forse una vittoria che non verrà neppure consumata: alcuni fondi francesi minacciano di non dar seguito all’accordo, specialmente se il 15 maggio il debito in scadenza nei confronti di fondi greci verrà rimborsato integralmente.

Ciò farebbe crollare l’intero edificio. Proprio mentre crescono le preoccupazioni per il debito estero di Spagna e Portogallo e la stessa Francia non è riuscita a fare il pieno nell’ultimo collocamento di titoli del tesoro decennali. Stanno crescendo, nel frattempo, le preoccupazioni sul differenziale tra paesi i cui conti con l’estero sono in surplus (rispetto al resto dell’unione) e paesi con in conti in rosso sempre più profondo. Jay Shambaugh della Georgetown University sottolinea che un nodo del genere può essere affrontato principalmente riducendo imposte e oneri sociali sul fattore lavoro (per ridurne il costo) e aumentando l’Iva per frenare l’import. Non solamente è difficile pensare che una manovra del genere venga accettata a livello comunitario, ma in molti paesi (tra cui l’Italia) deprimerebbe i già bassi consumi interni e scatenerebbe il putiferio con le Parti sociali.



Ma torniamo al lavoro di Tepper. Ci sono state unioni monetarie (anche in Europa) che sono state dismesse senza colpo ferire – sia grandi (quelle conseguenti la fine dell’Impero austro-ungarico, dell’Impero ottomano e, in tempi più recenti, dell’Urss), sia piccole (la fine del tutto indolore dell’unione monetaria cecoslovacca). Proprio sulla base di questi esempi, Tepper traccia un percorso perché la Grecia (e altri) lascino l’eurozona senza che nessuno si faccia troppo male. Non è il solo: altri giovani economisti europei hanno allestito “Piani B” da attuare se l’unione monetaria implodesse (in buona compagnia con altre 69 nell’ultimo secolo).

Vale la pena domandarsi qual è la posizione dell’Italia in materia. Ossia abbiamo un “Piano B”? È segretato? Oppure verrà portato a conoscenza dell’opinione pubblica e del Parlamento? Prima che sia troppo tardi.

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