La situazione di Eurolandia e quella italiana, che a noi più interessa, non sono certo tranquille. Aspetti positivi ed elementi di crisi si sommano e si confondono, spesso rendendo difficile sia fare un bilancio oggettivo, sia prefigurare il futuro. Proviamo a farlo con quella intonazione di fiducia costruttiva che caratterizza chi cerca di dare un contributo al bene comune nell’ambito del fare possibile.
Partiamo da Eurolandia. La stessa continua a essere al centro della crisi non per sua oggettiva maggior debolezza, ma perché gli Usa sono riusciti a passarle il “testimone” rendendola oggetto e vittima dei mercati finanziari mondiali. In questa situazione Eurolandia ha attuato varie misure di reazione corrette ma incomplete e che per questo potrebbero avere persino effetti negativi. Inoltre, l’ha fatto con grandi oscillazioni decisionali e lentezza.
Adesso tutti i paesi di Eurolandia stanno ratificando due Trattati internazionali: quello per il rigore fiscale (detto Fiscal Compact) e quello per il varo del Fondo salva-Stati permanente (Fondo Esm). Vanno nella direzione giusta, ma sono orfani di un terzo trattato internazionale: quello sugli investimenti per la crescita. Lo si può chiamare “investment compact”. Per questo avremo un 2012 con un calo del Pil pari allo 0,3% e un aumento della disoccupazione sopra il 10%.
La crescita non può d’altronde essere rilanciata da un singolo Paese e neppure dalla Germania anche se vale il 27% del Pil di Eurolandia. Essa per ora si gode tassi di interesse reali negativi finanziando il proprio debito pubblico a condizioni ottimali. È una magra soddisfazione, perché prima o poi crolleranno anche le sue esportazioni verso gli altri paesi di Eurolandia, cioè verso il suo miglior mercato. L’Unione monetaria europea è in crisi, ma senza la stessa la situazione sarebbe peggiore per ogni Paese ormai piccolo in un mondo di potenze emerse ed emergenti.
Veniamo all’Italia. Il Governo Monti in cinque mesi ha ridato all’Italia una credibilità europea e internazionale. È vero che adesso lo spread sul Bund è risalito a 380 punti base, ma non dobbiamo dimenticare che era arrivato a 570. Forse il Governo Monti non ha fatto il meglio, ma crediamo che sia sbagliato cercare solo i punti deboli delle sue azioni enfatizzandoli poi per offrire all’opinione pubblica e ai mercati internazionali nuovi elementi per svalutare o addirittura disprezzare l’Italia. Un minimo di consapevolezza dei rischi che tuttora incombono sull’Italia sarebbe necessario. Criticare è facile, specie se non si deve poi operare con decisioni a livello governativo.
Tre sono state in estrema sintesi le linee di intervento del Governo Monti. La manovra correttiva sui bilanci pubblici attuata soprattutto sul lato delle entrate per raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013. Si dice: andava tagliata di più la spesa e aumentate meno le tasse. È vero. Ma quando la manovra fu fatta, la pressione dei mercati e dei Governi che pesano (Germania e Usa) sull’Italia era fortissima e tale da cercare la via più rapida, non quella migliore. Le misure sulle liberalizzazioni e semplificazioni e la riforma del mercato del lavoro sono altre due linee di intervento sulle quali anche noi abbiamo già avanzato in altra sede qualche commento critico, ma anche costruttivo. Nel complesso quanto fatto è tuttavia positivo ed è stato apprezzato dall’Ue e dai mercati, ma certo non basta per far ripartire la crescita e ancor meno lo sviluppo. Quest’anno il Pil calerà del 2% almeno e la recessione si farà sentire.
Guardando alla crescita a breve, si possono individuare misure per sostenere sia le imprese che esportano facilitandone gli investimenti, sia il turismo verso l’Italia che è trascurato e dal quale può venire una spinta ai consumi degli stranieri. Per questo l’aumento prefigurato dell’Iva sarebbe un grosso problema. Guardando allo sviluppo a medio periodo, crediamo che sarebbero utili altre riforme sulle quali ci soffermiamo nella speranza che il Governo, il Parlamento e gli italiani ne tengano conto non perché sono nostri suggerimenti, ma per l’oggettiva utilità delle riforme stesse.
La prima, e forse la più grande, “riforma” che l’Italia, come comunità di popolo, dovrebbe fare oggi sarebbe quella di ritrovare la sua coesione nazionale. Chi ha occasione di andare all’estero non può non rilevare che l’Italia ha poco prestigio, malgrado individualmente ci siano personalità stimate e imprese apprezzate. Dunque, senza attuare una politica di autocensure, dobbiamo ponderare bene le nostre critiche. Perché queste vengono raccolte all’estero e dai mercati e poi gettate contro di noi dagli altri Stati in quella che appare sempre più una corsa ad accaparrarsi i sottoscrittori dei titoli di debito pubblico.
La seconda grande riforma che il governo non deve abbandonare è quella del federalismo fiscale. La stessa aveva già raggiunto uno stadio molto avanzato per impegno di lunga data di Giulio Tremonti. È una riforma importante per il controllo selettivo della spesa pubblica e per la responsabilizzazione della politica. A nostro avviso la ricostruzione nazionale dell’Italia unita passa da questa riforma che non va confusa con le strampalate affermazioni leghiste sul separatismo. Il federalismo deve portare alla radicale semplificazione della burocrazia che per ora nessuna riforma è riuscita a scalfire. E che rappresenta un freno formidabile allo sviluppo.
La terza grande riforma è quella della creazione di un Fondo al quale conferire tutti i beni pubblici reddituali, compresi quelli di proprietà degli enti locali che sono tanti e mal gestiti. Partendo da questo fondo si può poi pensare a un’operazione di abbattimento del debito pubblico anche con qualche operazione temporanea di risparmio forzoso degli italiani con la sottoscrizione di quote del Fondo stesso. Se potessimo portare il debito su Pil al 100%, affiancandolo con un federalismo rigoroso avremmo fatto due formidabili riforme strutturali.
La quarta è l’impegno europeista del Governo. Monti ha prestigio in Europa e dunque deve usare lo stesso per creare un’Eurolandia più forte attraverso le cooperazioni rafforzate che portino anche alla emissione di Eurobond per grandi investimenti infrastrutturali. Subito dopo la firma del Fiscal Compact, Monti ha detto che adesso bisogna operare per la crescita. L’Ue si perde invece spesso in questioni non risolutive.
Adesso ha, per esempio, iniziato il lungo procedimento per l’approvazione del bilancio comunitario che assorbirà l’1% annuo del Pil dell’Ue. Un nulla con il quale non si cambia nulla! Eppure ci vorranno tre anni per fare questa programmazione che si esplicherà poi sul periodo 2014-2020 e che avrà un effetto pressoché nullo sulla crescita europea.
La nostra conclusione si richiama infine a dei grandi ideali: quello della solidarietà della Comunità nazionale italiana e dell’Europa; quello della sussidiarietà lungo tre filiere: il federalismo; la riduzione dello stock del debito pubblico con un’operazione publico-privato; l’Europa come unione di popoli e di Stati. Infine, vi è lo sviluppo comunitario che è (con la pace) anche il grande motivo ispiratore della costruzione europea. Sono i principi di quel liberalismo sociale o comunitario che si è sempre impegnato per costruire il bene comune. Se si dimentica tutto ciò si smantellano 60 anni di storia europea alla quale l’Italia ha dato tanto, a partire dal contributo di De Gasperi ed Einaudi.