Contrordine compagni. Non era vero che bastava Mario Monti per azzerare lo spread fra titoli di stato italiani e tedeschi. Era falso che solo un governo tecnico poteva riavviare la crescita. La verità è che fino a quando l’Europa, anzi la Germania, non comprende che l’austerità – ossia più tasse e meno spesa pubblica – può soltanto aggravare la recessione, tutti gli sforzi nazionali sul rigore saranno inutili o controproducenti.
Gli esimi editorialisti dei grandi giornali ammanniscono da qualche giorno la “nuova” verità: Monti e il governo tecnico da soli non possono contrastare la decrescita, nonostante liberalizzazioni vere o presunte. Era chiaro anche quando c’era un governo politico – seppure conflittuale e dalle divergenze spesso immobilizzanti – eppure si voleva far credere che tutto dipendeva dalla credibilità internazionale prossima allo zero di Silvio Berlusconi, dalla flemma sviluppista di Giulio Tremonti fissato con i conti pubblici in ordine che non voleva abbassare le tasse (le avrebbe abbassate solo quando sarebbe diventato premier, era la favola propalata dai berlusconiani) e dall’impossibilità di varare riforme impopolari come la riforma delle pensioni e del lavoro.
Ora si scopre che, nonostante la previdenza sia stata riformata, la finanza pubblica sia stata messa in sicurezza e le liberalizzazioni finalmente avviate, lo spread galleggia ben sopra i 350 punti base, le imposte aumentano e le previsioni del Pil per quest’anno sono ulteriormente peggiorate, come sarà chiaro dal Def (Documento di economia e finanza) che oggi il governo approverà insieme con il Pnr (Programma nazionale di riforma).
Certo, il governo sta impostando provvedimenti che cercano di fertilizzare l’economia. Ha in gestazione una delega fiscale, che però non prevede una riduzione della pressione tributaria sicura. Ha in corso una riforma (l’ennesima) delle norme sulle grandi opere. Il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, ha pronto nel cassetto un decreto legge che rivede tutto l’impianto degli incentivi statali all’industria, con poche norme per agevolare davvero le imprese che innovano e si internazionalizzano. Così come il ministro dei Rapporti con il Parlamento, Piero Giarda, entro la fine del mese presenterà ai colleghi un rapporto sulla spending review; ma chi si aspetta un altro taglio secco seppure mirato della spesa pubblica, dopo i tagli lineari imposti da Tremonti, rimarrà deluso.
E quella che doveva essere la madre di tutte le liberalizzazioni, ossia l’indennizzo invece del reintegro in caso di licenziamento economico con una revisione radicale dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, si è rivelata una controriforma, secondo tutte le associazioni delle aziende che lamentano invece un aumento dei costi per le assunzioni a detrimento di alcune forme contrattuali flessibili. Insomma, più rigidità in entrata e quasi meno flessibilità in uscita: non proprio un capolavoro, come si ammette a mezza bocca nei ministeri non retti da economisti o prof.
La verità, ha detto Giuliano Amato echeggiando tesi che fino a qualche settimana fa esprimevano alcuni esponenti di centrodestra durante il governo Berlusconi, è che servono soldi per investire: “Se è difficile dar torto a chi dice che per crescere occorrono risorse da destinare agli investimenti – ha scritto l’ex premier domenica 15 aprile su Il Sole 24 Ore – è altrettanto difficile aspettarsi che tali risorse possono venire da bilanci nazionali, sui quali i mercati gettano i loro strali non appena fuoriescono dai binari dell’austerità”. Come dire: il governo Monti può poco o nulla sulla crescita. Ma non valeva anche per Berlusconi?
La chiave di volta per Amato sono i project bond, come sostengono da tempo in Italia e non solo Franco Bassanini e Franco Reviglio, rispettivamente presidente e capo economista della Cassa depositi e prestiti: ossia titoli che in quanto emessi ad esempio dalla Bei (Banca europea degli investimenti) non gravano sui debiti nazionali e attivano investimenti pubblico-privati mirati su reti e infrastrutture di rilievo europeo. Anche in questo caso, i soli project bond non sono sufficienti per riavviare il ciclo economico.
Infatti, il problema dei problemi è il Fiscal compact che irrigidisce e cristallizza le politiche economiche e di finanza pubblica degli stati, rendendo di fatto inermi i governi nazionali a tutto beneficio della Germania, che può piazzare i Bund decennali a tassi bassissimi. Il risultato è che l’Eurozona finanzia di fatto il debito tedesco a costo zero per Berlino. Era chiaro anche quando al governo c’era il centrodestra, ma forse la realtà allora era occultata dai pregiudizi politici.
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