«I dati riguardanti gli aiuti alle imprese dovrebbero far parte del rapporto sugli incentivi relativo al 2010 del ministero dello Sviluppo economico. Non discuto assolutamente i numeri, che saranno senz’altro reali, ma vorrei far notare fin da subito che siamo nel 2012 e il Ministero diffonde i dati del 2010, mentre il rapporto del 2009 ancora non è stato ufficializzato. Questo mostra dunque che anche il governo trova qualche difficoltà nel gestire i numeri degli incentivi alle imprese, e che il caos in questo settore è tale che è difficile venirne a capo e poter dare dei numeri accettati e condivisi». Queste le parole di Marco Cobianchi – giornalista economico di Panorama, autore del libro “Mani Bucate” e ideatore e conduttore del programma “Num3r1”, in onda dal 17 aprile su Rai Due in seconda serata – a commento dei dati riguardanti gli incentivi alle imprese nel periodo 2005-2010 e il piano di riordino che al momento sembra essere tra le priorità del pacchetto Passera per la crescita: si parla di agevolazioni per 45,7 miliardi, mentre le erogazioni sono state pari a 33,6 miliardi, facendo però registrare un calo annuo del 5,6%.
Cosa pensa di questi numeri?
Questi sono i numeri del Ministero, che non è l’unico soggetto che ha tentato di monitorare il flusso di soldi pubblici destinati alle imprese. C’è infatti anche la Corte dei Conti, i cui numeri sarebbero sicuramente diversi. Inoltre, i soldi spesso non passano direttamente dal ministero alle imprese, ma attraverso delle banche convenzionate: sono convinto che se andassimo a chiedere a loro quanti soldi hanno erogato alle imprese, avremmo ancora una volta dei numeri totalmente diversi. Infine, i dati ottenuti sono di difficile comprensione perché bisogna distinguere tra l’erogato e il concesso, tra cui c’è una grandissima differenza.
Quale?
Il concesso è quello che il ministero o chi per lui annuncia che verrà dato a un’impresa, mentre l’erogato è la cifra che effettivamente arriva sul conto corrente dell’impresa. Tra queste due operazioni possono anche passare anni, e non dimentichiamoci dei cosiddetti soldi in perenzione, che saltano se passa troppo tempo tra il concesso e l’erogato. Con la conseguenza che un’impresa che contava sulla promessa di una certa cifra da parte dello Stato si ritrova senza niente, rischiando grosso.
Resta però il fatto che gli altri paesi europei erogano alle loro imprese cifre maggiori rispetto all’Italia. Come se lo spiega?
Questo è vero, l’Italia eroga meno soldi alle imprese rispetto agli altri paesi dell’Unione europea. Con il mio libro “Mani Bucate”, infatti, non voglio dire che il nostro Paese concede troppi soldi alle imprese, ma che gli incentivi italiani destinati alle imprese sono perfettamente inutili, e questo lo dicono la Corte dei Conti, Mario Draghi, la Banca d’Italia e numerosi esperti del settore. Ma soprattutto lo ha detto Fabrizio Barca, attuale ministro per la Coesione territoriale e inventore della Nuova Politica Regionale (Npr): è stato lui stesso nel 2009 a dire che la sua “creatura” non aveva prodotto alcun risultato. I nostri incentivi, quindi, non sono tanti, ma sono completamente inefficaci.
Si spieghi meglio. Cosa intende per inefficaci?
I soldi utili sono quelli che riescono a creare impresa, innovazione e sviluppo, e questo i soldi alle nostre imprese non lo fanno. Gli incentivi italiani sono quindi inutili perché vengono dati alle imprese per mantenerle in vita, per farle sopravvivere nel mare di debiti in cui si trovano, e non per creare grandi, buone e solide aziende. In Germania il denaro pubblico viene davvero utilizzato per creare innovazione tecnologica e per lo sviluppo, mentre l’Italia usa queste risorse per far fronte agli extra-costi che un’impresa deve sopportare se lavora sul nostro territorio.
Cosa dovrebbe fare a suo giudizio il governo?
Il governo deve avviare una vera rivoluzione su questo tema, che significa abolire gli incentivi e abbassare le tasse. Può sembrare assurdo, ma le assicuro che le migliori imprese italiane sono favorevoli a un’idea del genere.
Come mai?
Perché gli incentivi vengono destinati alle imprese peggiori, non a quelle migliori. Quindi una buona impresa si ritrova di fronte i concorrenti peggiori che, dopo aver ricevuto il denaro pubblico, le fanno concorrenza non con la qualità, ma con un abbassamento dei prezzi dei loro prodotti perché di fatto sono stati pagati dallo Stato. E’ quindi presente una evidente distorsione della concorrenza che va a danno delle imprese migliori, ed è proprio questo il paradosso tutto italiano.
(Claudio Perlini)