In una democrazia le tasse si pagano in base a un “contratto fiscale” determinato dall’elezione di una maggioranza. Ciò distingue i “cittadini” dai “sudditi”. Nella democrazia italiana il confronto politico tra portatori di contratti fiscali “tassista” e “detassista”, cioè tra coloro che vogliono più Stato e quelli che ne desiderano di meno per lasciare più spazio al mercato, non è mai stato netto.
Dal 1964 fino al 1993 l’offerta politica di maggioranza fu composta da un mix di statalisti e mercatisti. Da questa configurazione politica emerse un contratto fiscale molto anomalo: tasse crescenti per finanziare protezioni sociali e apparati, ma combinato con una sorta di permesso implicito, per chi poteva, di evadere le tasse. Fu un compromesso che diede pace sociale alla nazione durante la Guerra fredda e permise al mercato di restare dinamico nonostante i crescenti pesi fiscali. Ma creò una situazione ingestibile.
Quando, nel 1994 e dal 2001 al 2006, l’offerta detassista fu più netta, la sua realizzazione politica fu bloccata dalla necessità di coprire costi pubblici ormai difficilmente riducibili, complicati dall’enorme debito e dai nuovi eurovincoli. Poiché non era possibile far scendere le tasse, anche perché nella coalizione pro-mercato restava una forte componente statalista, l’offerta politica detassista perpetuò il contratto fiscale anomalo, cioè il permesso di evasione, per soddisfare i propri elettori.
Ora lo Stato è in emergenza: deve fare cassa subito, mentre la riduzione della spesa e delle tasse è un processo lungo. Per tale motivo sta violando il contratto fiscale implicito vigente nella democrazia italiana, costringendo quelli che ritenevano legittimo evadere una parte delle tasse a pagarle tutte, demonizzandoli. Gli evasori, però, hanno usato uno spazio discrezionale lasciato loro dalla politica.
Quindi non vanno perseguitati, ma riorganizzati entro un nuovo e chiaro contratto: (a) chiudere il passato con un condono oneroso in cambio dell’impegno trasparente degli evasori di pagare tutto nel futuro; (b) impostare un progetto di bilancio che, al raggiungimento della saturazione del gettito, riduca gradualmente le tasse per tutti. Il condono oneroso è materia di questo governo. La conferma del nuovo contratto fiscale – paghiamo tutto per pagare meno dopo – dovrà essere fatta nelle elezioni del 2013, ma il governo dovrebbe già impostarne lo schema.
Questo sarebbe il modo giusto di risolvere la questione fiscale, quello in corso sbagliato sul piano delle regole di una democrazia. Ed è anche sbagliato sul piano del realismo. L’Italia ha effettivamente bisogno di più gettito nel 2012 e 2013 per arrivare al pareggio di bilancio promesso alla Ue e ai mercati. Quei circa 100 miliardi che possono essere recuperati dall’evasione verranno fuori meglio da un accordo contrattuale o da un’azione repressiva? I circa 60 miliardi che servirebbero nel 2012 per attutire la recessione in atto verrebbero fuori meglio da un’azione contrattuale, il condono oneroso, oppure da un’indagine sui cinque anni passati, difficilissima e lunga a causa della complessità dei controlli?
Poi il punto più delicato: se ai cittadini impongo tasse soffocanti per finanziare apparati inefficienti senza dare loro in cambio una prospettiva di riduzione fiscale e di Stato che funzioni meglio, pensate che i cittadini stessi, trattati da sudditi, lo accettino senza ribellarsi? Chi vuole la pace sociale deve capire che la questione fiscale va trattata con metodo contrattuale, pragmatico, e non repressivo, ideologico.