La crisi dell’Eurozona è lungi dall’essere definitivamente risolta. Lo possiamo notare dagli andamenti ancora altalenanti dei mercati, dai rumors su un possibile nuovo intervento della Bce, dai nuovi timori riguardanti la Grecia. La politica sembra però immobile di fronte a questa situazione: niente più vertici o riunioni straordinarie a livello europeo. In parte ciò è anche dovuto alle elezioni francesi, che vedono Francois Hollande sfidare il Presidente uscente Nicolas Sarkozy. Domenica ci sarà il primo turno di questo appuntamento molto importante in un Paese che finora ha retto, a braccetto con la Germania, le sorti dell’Europa, ma che ha dovuto subire il downgrade di Standard&Poor’s, con la perdita della tripla A, e le cui banche si sono trovate molto coinvolte nelle vicende riguardanti la crisi greca. Su questi importanti temi abbiamo intervistato, David Benamou, presidente di Axiom Alternative Investments, società indipendente francese di gestione del risparmio.



Il problema greco, nonostante gli sforzi compiuti, sembra ancora lontano da una soluzione positiva. Come finirà, secondo lei, questa brutta storia?

Dipende a quale storia ci stiamo riferendo. Il default della Grecia è ormai alle nostre spalle, mettendo così fine a due anni veramente brutti durante i quali i mercati hanno avuto l’impressione che le regole su cui si basa il sistema finanziario (insolvenza-default-innesco dei cds) non fossero più applicabili. Perciò, il “default organizzato” della Grecia è una buona fine per una brutta vicenda. Se parliamo invece del futuro economico della Grecia, allora è tutta un’altra storia: il Paese deve darsi molto da fare per adeguarsi agli standard dell’Eurozona in materia di finanza pubblica e rimane un grosso punto di domanda sulla capacità dell’economia greca di cambiare radicalmente strada. 



Sono stati pubblicati alcuni dati secondo i quali la Francia non solo è il più grande detentore di debito greco, seguita dalla Germania, ma ha un’esposizione pari alla somma delle esposizioni di Germania, Regno Unito e Stati Uniti. Come si può spiegare questa situazione?

Questa situazione si spiega con l’esposizione creata storicamente dalle banche francesi attraverso le loro banche locali (Geniki per Société Génerale e Emporiki per Crédit Agricole) e per il fatto che la Grecia, dal 2000, è stato un cliente importante per i settori della difesa e delle costruzioni (specialmente in vista dei Giochi Olimpici), settori in cui le società francesi sono leader. Tuttavia, le cifre che sono state pubblicate devono essere prese con cautela per due motivi.



Quali?

In primo luogo, la maggior parte delle Landesbanken (che rappresentano buona parte del sistema bancario tedesco) non ha reso noto la propria esposizione in debiti sovrani. In secondo luogo, i dati utilizzati sono spesso vecchi di 6/8 mesi e per alcune banche francesi (per esempio, Société Génerale) una significativa quantità di titoli era in scadenza nella prima metà del 2011.

 

In ogni caso, è questa esposizione la ragione principale delle difficoltà che stanno affrontando le banche francesi?

 

No. Vi è un incredibile paradosso a tal proposito: le banche francesi sono tra le più profittevoli d’Europa e fanno parte del piccolo club di banche che sono state capaci di ottenere un core capital ratio del 9% portando semplicemente a riserva il loro utile annuale (Unicredit, per esempio, ha dovuto varare un aumento di capitale all’inizio del 2012 per raggiungere questo obiettivo), ma sono state considerate come le più a rischio durante l’attuale crisi dei debiti sovrani. Sulla base dei dati quantitativi, non vi è alcuna spiegazione plausibile per questa situazione.

 

A che cosa è dovuta allora?

 

La crisi del 2008 aveva già portato una cattiva reputazione al sistema finanziario e in particolare alle banche. Il cambiamento delle regole del gioco apportato dai leader europei con l’accordo del 21 luglio 2011 (il cosiddetto Efsf, European financial stability facility) ha esteso la crisi dei debiti sovrani al sistema bancario europeo.

 

In che modo?

 

Per giustificare il costo del salvataggio della Grecia e ammorbidire le reazioni dei loro cittadini, i governi europei escogitarono l’idea di far partecipare il settore privato al salvataggio delle banche greche. A questa idea, nota come burden sharing (condivisione del peso), venne data la forma di bozza di direttiva europea nel dicembre del 2010. Questa partecipazione delle banche nel salvataggio della Grecia ha rotto un tabù: il debito sovrano degli Stati dell’Eurozona non è più senza rischi, anche se continua a essere considerato tale nei regolamenti bancari e assicurativi. Se i politici possono imporre, sui prestiti concessi agli Stati dell’Eurozona, perdite alle banche per motivi politici, quindi per motivi arbitrari, la situazione finanziaria delle banche europee non può più essere valutata con un qualche grado di attendibilità.

 

Qual è stata la conseguenza di questa mossa politica sui mercati?

Una massiccia vendita di titoli del settore bancario, sia azioni che obbligazioni. Le banche si sono presto rese conto che gli investitori le ritenevano responsabili del debito emesso da Stati dell’Eurozona in loro possesso e hanno quindi liquidato le loro esposizioni. Il portafoglio in titoli di Stato di Société Générale, comprendente titoli di Italia, Irlanda, Spagna, Portogallo e Grecia, si è letteralmente dissolto, passando dai 17 miliardi di euro del 31 dicembre 2010 ai 5 miliardi del 30 settembre 2011. Questo circolo vizioso ha presto causato notevoli incrementi nel costo di finanziamento di Spagna e Italia. Il sistema bancario e le prospettive di rifinanziamento del debito degli Stati dell’Eurozona sarebbero stati esposti a grave rischio senza il massiccio intervento della Bce.

 

In una recente intervista, Lei ha messo a confronto l’atteggiamento delle banche francesi con quello pragmatico degli italiani e dogmatico dei tedeschi. Cosa intendeva dire?

 

Mi riferivo all’atteggiamento delle banche di fronte alla finestra di finanziamento a tre anni della Bce, conosciuta come Ltro (Long term refinancing operations). Le banche tedesche hanno rifiutato di utilizzare questa opportunità. Invece, le banche italiane e inglesi (attraverso le loro filiali nell’Eurozona) hanno fatto ricorso senza esitazioni a questa fonte di finanziamento a buon mercato, mentre le banche francesi (con l’eccezione di Bpce e Dexia) hanno ritardato le loro decisioni fino all’ultimo minuto, temendo che il mercato potesse considerare un segno di debolezza il ricorso a questi finanziamenti. 

 

Le banche francesi sono state anche criticate per una minore trasparenza, per esempio nei confronti delle banche inglesi o scandinave. È veramente così?

 

Quella della mancanza di trasparenza delle banche francesi è una critica scorretta. Le banche francesi si sono espanse moltissimo tra il 2000 e il 2011 e hanno ora una vasta presenza geografica in Europa, forti bilanci e una storica posizione di leadership nelle attività di investimento bancario complesso, come i derivati. Nell’attuale critica situazione, questo tipo di attività è meno facile da “leggere” rispetto a modelli di business più semplici o a una maggiore focalizzazione territoriale.

 

Il downgrading di S&P’s e l’outlook negativo di Moody’s rappresentano un problema reale per la Francia o si tratta solo di una questione di prestigio?

 

Nel contesto attuale, la perdita di uno o due punti non rappresenta un problema reale. Non si tratta comunque solo di prestigio, ma di reputazione e credibilità, che sono gli elementi fondamentali che determinano il costo di finanziamento di un Paese sul mercato. I rapporti del deficit e del debito rispetto al Pil di Germania e Francia sono molto simili, ma la Germania può finanziarsi con l’1,30% in meno della Francia. Perciò, anche se non è ancora un problema concreto, è un chiaro avvertimento che il tempo dei finanziamenti senza pensieri è ormai passato

 

Si aspetta qualche cambiamento nella politica economica francese dopo le prossime elezioni?

I cambiamenti nelle politiche non saranno più che tanto condizionati dal risultato delle elezioni. Il governo francese non ha molti spazi di manovra, come la maggior parte dei governi dell’Eurozona, obbligati a una sempre più stretta disciplina di bilancio e fiscale in un quadro di maggiore integrazione europea. Chiunque vinca le elezioni ha di fronte a sé una strada segnata da aumento dell’imposizione fiscale e da tagli di bilancio.

 

E circa la cosiddetta diarchia Francia-Germania che sembra governare l’Eurozona, una vittoria di Hollande potrebbe cambiare sensibilmente la situazione?

 

François Hollande è un europeista impegnato che capisce benissimo cos’è in gioco. Anche se durante la campagna elettorale ha detto che chiederà di rinegoziare i trattati europei, dubito che vorrà assumersi un tale rischio.

 

Molti pensano che il reale “governatore” dell’Europa sia la Germania e che la Francia sia solo un alleato. Qual è la sua opinione a tal proposito e qual è l’atteggiamento dei francesi rispetto a questa inusuale alleanza con la Germania?

 

La Germania ha chiaramente preso la guida in questa primavera 2012, relegando la Francia a un ruolo secondario. Ed è vero che siamo in presenza di un cambiamento storico nelle relazioni tra i due paesi nel corso di questi cinquant’anni. Questo nuovo ruolo è stato finora giocato con grande intelligenza e diplomazia da Nicolas Sarkozy, dato che è riuscito gradualmente a smuovere su punti chiave la Germania dalle sue posizioni dogmatiche. In questo momento, i francesi (con l’eccezione di Jean-Luc Melenchon e Marine Le Pen) non soffrono per questa perdita di leadership e credo siano convinti che l’Europa abbia bisogno di compattezza e unità per ristabilire una qualche credibilità.