La stampa italiana è stata molto parca di informazioni a proposito delle riunioni primaverili degli organi di Governo di Banca mondiale e di Fondo monetario internazionale. Non sono mancate corrispondenze sull’aumento di dotazione delle risorse del Fmi e sulla nomina del nuovo Presidente della Banca. Si è anche messo l’accento su come la comunità internazionale avrebbe ben accolto le misure adottate dal Governo Monti, pur se il volto tirato del viceministro Vittorio Grilli (quale trapelava dagli schermi televisivi) poteva indurre a pensare non solo che fosse fisicamente stanco della trasferta, ma anche che l’accoglienza sia stata inferiore alle aspettative.
Per chi, come il vostro “chroniqueur”, ha vissuto a Washington per oltre tre lustri e ora osserva la capitale Usa con il cannocchiale, ciò che è importante è leggere con attenzione il rapporto sull’economia internazionale (“Multilateral Surveillance Report”) che in questa occasione il Fondo produce come base di riflessione e discussione per i ministri e i governatori di banche centrali convenuti nella capitale degli Stati Uniti.
Come sottolineato (anche troppo) dalla stampa italiana, le prospettive presentate adesso dal Fmi per l’economia mondiale sono (leggermente) migliori di quelle delineate circa sei mesi fa. Tuttavia, per la prima volta da quando il Fondo è stato creato nel lontano 1944, il documento mette l’accento sul ruolo dell’Europa (e in particolare dell’eurozona) nel futuro a breve e medio termine dell’economia internazionale. L’Europa non viene presentata come un traino potenzialmente importante, ma come la “più grande nuvola all’orizzonte”.
Non solo le speranze suscitate quando la Banca centrale europea (Bce) ha fornito un trilione di liquidità agli istituti di credito dell’eurozona si sono “ben presto affievolite”. I buoni decennali del Tesoro spagnolo sono “ancora una volta tornati a livelli non sostenibili”. Grazie alle operazioni straordinarie di quantitative easing (di immissione di liquidità nel sistema) della Bce, l’eurozona “ha guadagnato tempo”. Occorre valutare con attenzione come lo utilizzerà.
Nel capitolo del documento dedicato al continente vecchio, il Fmi tratteggia tre scenari. Nel primo, a politiche sostanzialmente invariate, la recessione in atto si trascinerebbe sino alla seconda metà del 2013 (ovviamente morderebbe più in alcuni paesi e meno in altri in termini di perdita di valore aggiunto, di reddito e di posti di lavoro). Nel secondo scenario, se il credito raggiunge le imprese e se il Fondo salva-Stati opera con efficacia, l’eurozona potrebbe tornare a crescere moderatamente prima della fine del 2012.
Se, invece, il credit crunch si inasprisce (anche a ragione di meno oculate gestioni dei conti pubblici) la recessione non potrà che diventare più profonda. Con implicazioni pesanti sulle aree limitrofe – in primo luogo in Europa centrale ed orientale, nel Medio Oriente e in Nord Africa; una più severa recessione nell’eurozona, infatti, colpirà il loro export e ciò si avvertirà a livello mondiale. Il documento fa intendere che ci potrebbe essere un altro scenario ancora: insolvenze del debito sovrano e anche la stessa implosione dell’eurozona. Ciò causerebbe tensioni molto forti su tutti i mercati finanziari, pure su quelli fisicamente più lontani dall’Europa.
Il continente vecchio aggrava un problema interno del Fondo: il negoziato sul numero dei seggi nel Consiglio d’Amministrazione (20 o 24) e se l’Europa possa continuare ad averne cinque. Sinora, il continente vecchio ha trovato come proprio difensore gli Usa. Ma nel nuovo quadro, la situazione potrebbe cambiare. E l’Italia, il cui seggio diventa vacante in ottobre, potrebbe essere candidata a rimetterci le penne.