È fin troppo facile dire, all’indomani della presentazione del primo documento sulla spending review, che la montagna ha partorito un topolino. Da un lato, erano state create aspettative eccessive sulla capacità di giungere a risultati concreti significativi nel lasso di pochi mesi, tramite un’operazione di revisione delle priorità di bilancio condotta, in sostanza, dal Ministro per i Rapporti con il Parlamento, Prof. Piero Giarda, con il supporto di pochi volenterosi, anche se ora potenziato da una task force di Ministri, integrata con un noto “risanatore”, Enrico Bondi. Da un altro, tentativi precedenti, pur se inquadrati nell’ambito di quella Ragioneria Generale dello Stato dove il bilancio delle pubbliche amministrazioni viene formulato e monitorato, hanno indicato che esercizi di questa natura, per avere risultati positivi, richiedono un quadro istituzionale appropriato, un metodo condiviso e, soprattutto, molta perseveranza e tenacia.
Tuttavia, l’amico Piero Giarda, con cui ho in comune non solamente la professione di economista ma ancor di più la passione per la musica lirica, mi consenta di fare alcuni rilievi sul merito e sul metodo.
Sul merito, se è vero quanto filtrato dal Consiglio dei ministri di ieri, le riduzioni effettive di spesa corrente da attendersi nell’immediato come prima fase della spending review sarebbero limitatissime, dell’ordine di circa 5 miliardi di euro. Se ciò venisse confermato dalle decisioni dei prossimi giorni e delle prossime settimane, si darebbe un colpo durissimo alla credibilità non tanto della review, ma del Governo stesso, specialmente perché a ragione principalmente dell’aumento dei tassi d’interesse, nell’esercizio finanziario in corso la qualità della distribuzione tra spesa delle pubbliche amministrazione di parte corrente e investimenti pubblici è fortemente deteriorata: in effetti, la spesa per interessi rischia di superare in misura significativa quella in conto capitale. In aggiunta, si sta aggravando il problema dei debiti delle pubbliche amministrazioni nei confronti delle imprese (ormai una somma pari all’8% del Pil – tale da portare il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno al 130%).
Non è nel mandato del Prof. Giarda affrontare e risolvere il problema dell’insoluto delle pubbliche amministrazioni nei confronti delle imprese. Tuttavia, nella visione di un’Italia più moderna e più giusta, già nella prima fase, ove non nell’antipasto della spending review, si dovrebbe prevedere, prima della fine del 2012, l’abolizione delle Province, la razionalizzazione dei contributi all’editoria e allo spettacolo, un dimezzamento almeno dei rimborsi elettorali (sarebbe auspicabile la loro totale abolizione), l’entrata in vigore immediata dei tetti a superstipendi nelle pubbliche amministrazioni, nelle aziende a capitale pubblico (quotate e non quotate) e nel variopinto “capitalismo municipale”, l’allineamento delle retribuzioni del personale all’estero (anche diplomatico e militare) alla media di quello degli Stati dell’Europa meridionale in ambasce di finanza pubblica analoghe alle nostre. E via discorrendo.
Si potrebbe arrivare facilmente a un totale di 30 miliardi di euro e scongiurare un nuovo aumento dell’Iva o una nuova manovra finanziaria. Nel contempo, per favorire la crescita, si dovrebbero consentire alle imprese detrazioni d’imposta analoghe a quanto a esse dovuto dalle pubbliche amministrazione e una drastica abolizione della miriade di tax expenditures (agevolazioni tributarie) spesso varate unicamente a fini particolaristici. Queste misure “minime” darebbero credibilità alla spending review. E ne permetterebbero la prosecuzione.
Sul metodo, è utile riallacciarsi all’esperienza francese del “Programme de Rationalisation des choix budgétaire”, attuato in Francia in due fasi – la prima dalla metà degli anni Settanta sino al 1985 circa, la seconda a partire dalla riforma dei documenti di bilancio nel 1998. È un’esperienza che va valutata con attenzione. In effetti, definiti gli obiettivi generali di governo, si chiedeva alle amministrazioni di studiare l’apporto che ciascuna di esse potesse dare in documenti che venivano pubblicati e messi a confronto gli uni con gli altri ed erano oggetto di dibattito professionale (sulla qualità dell’analisi) e pubblico (sulla corrispondenza con gli obiettivi di politica economica).
La prima fase ha dato risultati modesti in quanto impiantata su base volontaristica. Ha comunque contribuito al risanamento della finanza pubblica francese, coronato con l’“accordo del Louvre” del 1987 sul cambio fisso tra franco e marco. La seconda fase – non più volontaristica – si è rivelata uno strumento molto utile non solo per la definizione delle priorità di bilancio, ma anche per la loro trasparenza. Interessante a proposito un saggio di Bernard Perret pubblicato alcuni anni sulla Revue Française d’Administration Publique. Specialmente nella seconda fase, “Programme de Rationalisation des choix budgétaire” è riuscito a incidere perché aveva un’ancora forte nelle varie forme e denominazioni che, negli anni, ha assunto la direzione del bilancio nel Ministero dell’Economia e delle Finanze d’Oltralpe.
Giarda, d’intesa con il Vice Ministro Grilli, potrebbe trovare un perno nel servizio studi della Ragioneria Generale dello Stato – servizio creato (vale la pena ricordarlo) proprio a questo scopo.