Al netto del piano segreto tra Italia e Germania per combattere la crisi rivelato ieri da Repubblica (l’ultima volta che Berlino e Roma hanno dato vita a un patto, le cose non sono andate esattamente bene) e altre baggianate simili, l’Italia è davvero a rischio? «La Spagna non è la Grecia», questo è stato uno dei mantra che sono circolati sui mercati negli ultimi mesi, quasi un esercizio di esorcismo per i rinnovati timori sulla tenuta dell’economia e dei conti iberici. Ora, però, dopo il declassamento di Madrid operato da Standard&Poor’s, qualcuno comincia a vedere nero e modificare l’adagio in «l’Italia non è la Spagna», prodromo di un interessamento dei mercati nei nostri confronti. È davvero così?



Partiamo da un presupposto: è vero che l’Italia non è la Spagna. Il nostro disastrato Paese, oltre all’avanzo primario, vanta infatti fondamentali core che la Spagna non ha. Primo, la ricchezza lorda delle famiglie, in erosione già dal 2006 ma comunque pari al 5,7% di quella mondiale, qualcosa come 9448 miliardi di euro in beni mobili e immobili, corrispondente a un valore netto di 8600 miliardi di euro. Dal punto di vista della singola famiglia, significa circa 350mila euro in media, dove la parte immobile e materiale (case e terreni) rappresenta il 62,3%, mentre la parte finanziaria il 37,7%. C’è poi il patrimonio immobiliare dello Stato, oltre 543mila unità immobiliari per oltre 222 milioni di metri quadrati, per un valore che oscilla tra 239 e 319 miliardi di euro, cui vanno aggiunti 776mila terreni, per oltre 13 miliardi di metri quadrati e un valore tra gli 11 e i 49 miliardi. Una gestione oculata di questo patrimonio, di per sé, permetterebbe di abbattere lo stock di debito e di abbassare il deficit, evitando così tagli lineari.



Infine, le riserve auree della Banca d’Italia, quarte a mondo con le sue 2500 tonnellate e pari, al 31 marzo scorso, a 98,123 miliardi di euro. Insomma, se si volesse abbattere davvero lo stock di debito, l’Italia ha armi che la Spagna si sogna. Peccato che nessuno sembra intenzionato a usare questi strumenti, governo tecnico in tetsa, e si perde tempo tra spending review e discussione da bar sui rimborsi elettorali dei partiti. E proprio al netto di questa inazione politica, vanno a innescarsi le criticità che ci avvicinano a Madrid in questa contingenza di crisi dell’eurozona. Vediamo infatti qualche altra cifra, molto recente.



Venerdì scorso il Tesoro ha collocato Btp a 5 e 10 anni per complessivi 4,9 miliardi, poco meno dell’importo massimo prefissato di 5 miliardi, ma ha dovuto offrire tassi più alti: sulla scadenza settembre 2022, il rendimento medio è salito al 5,84% dal 5,24% dell’asta di marzo e per il maggio 2017 il tasso è cresciuto al 4,86% dal 4,18% precedente. Insomma, bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno? Certamente mezzo pieno, visti i timori pre-asta per il possibile effetto downgrade di Madrid, completamente ignorato. Mezzo vuoto perché il Tesoro ha collocato anche bonds off-the-run con scadenza 2016 e 2019 e sulla scadenza più breve, quella a quattro anni, ha pagato il 4,29% di rendimento, alto per una maturity di medio termine appena al di fuori del range di garanzia delle aste Ltro della Bce.

E nelle sale trading si comincia a guardare sempre meno al differenziale tra i nostri titoli di Stato e quelli tedeschi e ci si concentra sempre di più sullo spread tra Btp e Bonos spagnoli, in perenne restringimento da un settimana a questa parte, con le nostre obbligazioni pericolosamente underperforming rispetto a quelle iberiche: in 10 giorni di contrattazioni, si è passati da uno spread di 50 punti base ai 24 di ieri, dopo il minimo di 17 della scorsa settimana. Un enorme short squeeze? Probabile, ma è ovvio che il downgrade ha pesato un po’ per Madrid, poco o nulla per Roma. La quale, però, ha problemi strutturali simili a quelli madrileni.

Nel suo report mensile, Bankitalia ha infatti reso noto che nel mese di marzo i prestiti della Bce alle banche italiane sono saliti da 195 a 270 miliardi di euro, il tasso più alto di sempre, il 39% in più da febbraio e il 776% in più dal marzo 2011. E la ragione di questa dipendenza pericolosa risiede anche in un dato molto significativo, oltre che nell’allocazione obbligata dei soldi delle aste Ltro per coprire scadenze obbligazionarie e acquistare debito sovrano: gli outflows di depositi, in perfetta corrispondenza con quelli spagnoli e di fatto coperti dai soldi dell’Eurotower. A oggi, insomma, non solo le nostre banche pagano market cap ridicoli che le rendono potenziali vittime del mercato, ma c’è anche il fatto che, numeri alla mano, i soldi della Bce paiono ormai l’unica risorsa per finanziare le liabilities del sistema.

E un tale scenario può portare con sé, in ogni momento, un’accelerazione sulle curve obbligazionarie, visto che il denaro delle aste Ltro è ormai allocato e altri programmi emergenziali non paiono in vista, stante il “no” tedesco. Il Fmi stima che le banche italiane dovranno comprare bonds del Tesoro per 223 miliardi di euro quest’anno, cifra che rappresenta il 9% dei loro assets e che fa il paio con il fatto che i compratori esteri di debito italiano rimarranno a quota 37% del totale, dal 42% della fine del 2009. In Spagna, per fare un esempio, a fronte di compratori esteri pari al 38%, le banche dovranno comprare debito sovrano per 135 miliardi di euro, il 4% dei loro assets. Inoltre, mentre Madrid ha già completato la metà delle sue emissioni per quest’anno, l’Italia è al 40%.

Per JP Morgan, le banche italiane hanno ancora circa 60 miliardi di liquidità netta dai fondi Bce da utilizzare per potenziali necessità di finanziamento da qui a fine anno pari a 164 miliardi, al netto però di un tasso di depositi che non deve continuare a calare con il ritmo attuale: «In conclusione, l’Italia è più vulnerabile potenzialmente della Spagna, specialmente se gli investitori esteri o le banche estere non intenderanno fare roll over sul loro debito a maturazione», conclude la nota della banca d’affari. Sarà per questo che Monti preme in maniera spasmodica per sostituire Sarkozy nel direttorio con la Merkel e che la stessa Cancelliera appare più conciliante, nonostante i paletti posti dalla Bundesbank?

Al netto di un debito pubblico del 123,4% sul Pil, l’Italia resta la terza economia dell’eurozona e un suo declino spagnolo segnerebbe la probabile fine del progetto comunitario così come lo conosciamo. Ma, soprattutto, è l’esposizione al nostro debito quella che possiamo definire una sorta di assicurazione sulla vita. Stando a dati diffusi nel mese di dicembre da Credit Suisse, l’esposizione bancaria verso Roma è pari al 13% del Pil tedesco, più dell’esposizione combinata a tutti gli altri cosiddetti Pigs, che conta infatti solo per il 7%. Insomma, per l’Europa core guidata dalla Germania, sarebbe più facile e conveniente affrontare un default contemporaneo di Grecia, Spagna, Irlanda e Portogallo che quello italiano. Tanto più che, a oggi, quasi nessuna previsione economica del governo Monti ha trovato conferma. Saltati i target di deficit sia per quest’anno che per il prossimo, nonostante le discrasie tra i dati del Tesoro e quelli del Fmi, debito pubblico in ulteriore risalita nel 2013 al 123,8% del Pil e contrazione economica che condanna il Paese ad altri diciotto mesi di recessione.

Ci sono poi le voci nascoste, ovvero quei potenziali detonatori di rischio che i mercati sanno quando evidenziare. Nel chiudere l’operazione sui derivati con Morgan Stanley, l’Italia non ha infatti solo bruciato il 50% netto di quanto introitato con gli aumenti delle tasse imposti dal governo, ma anche reso noto al mondo, dalla viva voce di Marco Rossi Doria, sottosegretario all’Istruzione (scelta quantomeno originale), che il Tesoro italiano ha un’esposizione nozionale al derivati pari a 211 miliardi di dollari, circa l’11% del Pil: un’esposizione che, di fatto, porta immediatamente la nostra ratio debito/Pil al 144,3%. E a fronte di questo, la maratona innescata a Mario Monti – una contrazione fiscale del 3,5% del Pil difficilmente sostenibile da alcun Paese avanzato, basti dire che nel Regno Unito è dell’1% quest’anno e che la Corte dei Conti l’ha sonoramente bocciata – sembra tramutarsi giorno dopo giorno in una chimera pro-ciclica, che vede una continua contrazione delle componenti di massa monetaria, cui certamente non si può dare risposta a livello autarchico: né svalutare, né far intervenire Bankitalia per bloccare l’emorragia.

Ecco, forse, cosa nasconde l’offensiva europea di Mario Monti all’insegna della “crescita” e il “piano segreto” rivelato ieri da Repubblica sotto dettatura: la necessità di giungere a un compromesso che permetta di porre fine al collasso del flusso di massa monetaria (la Tesoreria unica non è stata una scelta dettata dal voler fare uno dispetto agli enti locali) per il Club Med, senza che questo porti però con sé inflazione al 5-6% per la Germania. Anche perché una soluzione greca per l’Italia, oltre che impraticabile (costerebbe circa 1,3 triliardi di euro e sarebbe comunque inutile), sarebbe la fine dell’Ue.

Attenzione, poi: domenica prossima Grecia e Francia scelgono il loro futuro politico. Lunedì vedremo cosa ne penseranno i mercati, ma già il fatto che il Pasok greco, il partito dell’ex premier Papandreou, abbia promesso agli elettori meno tasse e niente tagli, contrasta non solo con la realtà del Paese, ma, soprattutto, con i patti stipulati con la troika per il nuovo piano di salvataggio post-swap. Insomma, le solite bugie. Le quali rischiano di diventare pericolose, visto che proprio in Grecia potrebbe entrare in Parlamento il partito dichiaratamente fascista e filo-nazista “Alba dorata”, accreditato del 5% dei consensi, ben sopra lo sbarramento del 3% e forte di un radicamento negli strati più diseredati della società greca, conquistato a colpi di distribuzione di abiti e generi alimentari.

Trincerandosi dietro la scusa di un antico simbolo greco, la bandiera del partito richiama spaventosamente quella del Terzo Reich, campo rosso con una sorta di svastica destrutturata in nero. Direte voi, ora non esageriamo nel valutare la rinascita dei fenomeni nazionalistici a causa della crisi. Io vi rispondo che avete ragione, ma vi invito anche a dare un’occhiata a questo grafico, che correla il tasso di disoccupazione in Germania alle percentuali ottenuto dal Partito nazionalsocialista, fino alla sua ascesa al potere. La Grecia sta vivendo la sua Weimar? Presto lo scopriremo.

 

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