La rivoluzione dell’agricoltura si chiama Pac, Piano della Politica Agricola Comunitaria ed entrerà in vigore dopo il 2013. In attesa, i dati del 2011 per l’agricoltura dei 27 Stati membri dell’Ue sono positivi: è il quadro che emerge dal rapporto statistico appena presentato dalla Direzione generale Agricoltura della Commissione Europea. Nonostante l’impatto delle crisi, quella economica, ma anche le emergenze climatiche, il settore continua a crescere in linea con il dato del 2010. Il reddito agricolo ha registrato un aumento del 3,7% che sale a 6,5%, però, se si considera che il fattore lavoro è invece diminuito del 2,7%; è incrementato il volume dei beni prodotti dell’1,4%, ma anche i prezzi del 5,7%. Spinti dalla prospettiva di terreni a basso costo e da una politica europea che favorisce alcuni paesi come Romania e Bulgaria, centinaia di agricoltori si stanno trasferendo per coltivare i terreni in paesi “emergenti”. E’ sintomo di un rinnovato interesse per il settore? Lo abbiamo chiesto per Il Sussidiario.net ad Angelo Frascarelli, docente di economia e politica agraria all’Università di Perugia.



Molti agricoltori si trasferiscono in paesi come la Romania per acquistare terreni e coltivarli.

Lo sviluppo di queste economie è giustificato dal fatto che i sussidi Ue, assenti sino a quattro anni fa, hanno alzato la domanda dei coltivatori, attirati da terreni freschi, prezzi bassi e grandi superfici. Ma dopo il 2013 con la riforma della Agricola Comunitaria, tutto cambierà e i sussidi saranno uniformati, quindi non vedo una grande convenienza nel trasferirsi in questi paesi.



Qual è la situazione del settore agricolo in Italia, anche alla luce della PAC?

In questi anni l’agricoltura italiana ha sofferto l’evoluzione dei prezzi, dei costi di produzione e gli effetti della globalizzazione. I grandi cambiamenti avverranno dopo il 2013, poiché la nuova riforma porterà per il nostro Paese un grande cambiamento.

Lei ritiene che il settore perderà importanza, come è successo per il comparto ittico che soffre le massicce importazioni di pesce da paesi stranieri?

La situazione è differente. In questi anni, alcune imprese si sono modernizzate sia sui prodotti di grande consumo, sia nel settore dei prodotti locali, dallo zucchero sino all’aceto balsamico di Modena che è un prodotto di nicchia. La maggior parte, invece, è ancora legata al sostegno pubblico, quindi ai sussidi e ai contributi statali e continua ad avere un rapporto inadeguato con il settore. Queste ultime sono collocate soprattutto al Sud e assisteremo a parecchie chiusure causate dal gap tecnologico. Insomma, chi non si è messo al passo con i tempi rischia il fallimento.



Non è possibile destinare i fondi europei alle aziende in crisi?

I fondi comunitari, a seguito dell’entrata in vigore della Pac, saranno distribuiti in base agli ettari e non al bisogno delle singole aziende. Questo porterà una ridistribuzione fra le aziende, indipendentemente dalle necessità di Nord e Sud. Ad esempio, attualmente, i più grandi beneficiari dei fondi Ue sono Lombardia, Veneto, Puglia e Calabria.

Come giudica questo criterio?

E’ abbastanza limitante perché non aiuta nello specifico le aziende in crisi. Nel passato la Pac premiava le aziende che producevano di più e, soprattutto, alcuni tipi di prodotti. Dal 2013 in poi premierà solo l’agricoltura di tipo “ambientale”, quella cioè che produce beni pubblici.

Secondo lei, il mercato si sta orientando verso la restrizione della grande produzione in favore di prodotti di nicchia, come appunto citava lei, l’aceto di Modena, piuttosto che il prosciutto di Parma?

Non credo che i grandi settori cederanno il passo alle piccole produzioni sebbene queste siano, negli ultimi tempi, molto richieste. L’Italia è un Paese morfologicamente  molto diverso e non c’è un modello di impresa che si possa uniformare a un altro. Ci sono imprese lombarde, allineate al mercato, che producono Grana Padano e altre imprese di successo totalmente diverse che producono prodotti veramente di nicchia in parti dell’Italia molto meno economicamente avanzate.  

Considerata la globalizzazione e la grande distribuzione, è giusto parlare di questi prodotti, come di nicchia?

Certamente. In alcune realtà nel nostro Paese le produzioni agricole di nicchia hanno salvato l’agricoltura e il territorio, soprattutto in alcune regioni particolarmente impervie, come ad esempio l’Appennino. Sicuramente, i prosciutti Dop o il Parmigiano Reggiano Doc, sono prodotti di eccellenza locale e di qualità, ma non possono essere considerati di nicchia, poiché producono dei fatturati importanti.

Lei ritiene che la politica Ue tuteli a sufficienza queste piccole realtà che danno respiro a molti territori?

Non fa abbastanza perché è una politica su larga scala e non tiene conto delle specificità delle aree. E’ stata fatta, invece, una scelta coerente istituendo una tutela giuridica sui marchi DOP  e IGP.