Ma che accidenti sta succedendo sui mercati? La crisi non era risolta? Il Fiscal Compact e l’innalzamento del firewall dell’Esm a 500 miliardi il prossimo luglio non avevano debellato una volta per tutte le turbolenze? E i tecnici? Mario Monti non è lo stesso signore azzimato che aveva detto «lo spread continuerà a scendere e non risalirà più»? Tutte balle, lorsignori hanno cercato di guadagnare tempo, salvando prima la Grecia e poi il sistema bancario spagnolo, ma ora si trovano a fare i conti con la realtà: l’Europa sta crollando come un castello di carte per il semplice fatto che i problemi non sono stati affrontati, la Grecia non è stata accompagnata a tempo debito fuori dall’euro e la Spagna ammette solo ora, perché sull’orlo del precipizio e costretta a nazionalizzare Bankia, che le sue banche sono degli zombie mantenuti in piedi dai soldi della Bce. I quali, però, scarseggiano o si sono tramutati in bonds sovrani iberici, il cui valore continua a crollare giorno dopo giorno, mentre il rendimento del decennale ieri è tornato sopra il 6%, ai massimi da novembre.
Un bell’applauso a Mario Draghi, la cui lungimirante idea di salvare gli istituti di credito spagnolo attraverso le aste Ltro ha sortito un unico effetto: legare indissolubilmente il mercato del debito sovrano al settore bancario, spedendo il primo alle stelle e il secondo alle stalle. Bravissimo, scuola Goldman Sachs non mente, come d’altronde per il nostro primo ministro. I focolai di contagio ormai sono ovunque e strettamente correlati, bidirezionali potremmo dire. Se infatti ieri erano le tensioni in Portogallo a innescare tremori per la super-esposta Spagna (72 miliardi di euro), ieri è successo il contrario: l’ormai certo salvataggio pubblico di Bankia, ha spedito in orbita lo spread del biennale lusitano, capace di prendere 30 punti base in un’ora e sfondare quota 8,3% di rendimento. Non è il 20% di gennaio, ma il trend è invertito e ci vuole poco a sprofondare di nuovo. Non a caso, ieri i credit default swap (cds) spagnoli sono saliti di 13 punti base a quota 512, in base ai dati Bloomberg: una cifra record. Insomma, si è cercato di spegnere l’incendio di un grattacielo gettando un bicchiere d’acqua: ecco servito il risultato.
Ma la cosa peggiore è che i grandi commentatori economici e finanziari hanno già trovato il capro espiatorio: la Grecia. Anzi, i cittadini greci che hanno votato partiti anti-austerity, gettando quindi nell’instabilità e nell’ingovernabilità il Paese. Ora, a parte il fatto che in una democrazia ognuno ha diritto di votare chi vuole senza dover subire diktat dai mercati o dalla Trilateral, i grandi soloni del giornalismo si dimenticano di dire che per almeno due mesi hanno ignorato cosa stava accadendo nella Grecia post-swap, vera ragione del disastro ellenico, non certo le sinistre radicali divenute secondo partito.
L’altro giorno la Borsa di Atene ha toccato i minimi dal 1992, giù del 97% dai massimi del 2007: colpa dell’instabilità? Certo, ma quella pesa per un giorno, due. Ciò che conta è quanto non fatto e quanto nascosto dal governo tecnico guidato da goldmaniano Papademos, talmente bravo da aver portato Wolfgang Schauble ieri a dire chiaramente di prepararsi all’uscita di Atene dall’eurozona, opzioni auspicabile ma non certo in un contesto di incendio generale come quello odierno, visto che un addio di Atene scatenerebbe una fuga di capitali da tutti i paesi cosiddetti Piigs e indebolirebbe ancora di più l’euro, già oggi previsto a quota 1,20 sul dollaro, stando almeno alla correlazione degli stati patrimoniali di Fed e Bce rispetto alle fluttuazioni storiche di cambio.
Pensiamo al profilo del debito greco con cui un possibile nuovo governo avrà a che fare, qualsiasi sia il suo colore. Attualmente il debito outstanding di Atene è di 220 miliardi di euro e i prestiti della troika pesano per 77 miliardi di questo ammontare. Dei 142 miliardi in bonds, almeno 50 sono detenuti dalla Bce, la quale riceve puntuali pagamenti a ogni maturazione: chi vieta al nuovo esecutivo, se costretto a un compromesso con gli anti-rigoristi, di chiedere che l’Eurotower cominci a sostenere delle perdite come tutti rispetto alle sue detenzioni, al fine di abbassare lo stock di debito? Lo farà la Bce, già protagonista di una non partecipazione allo swap che ha tramutato tutti gli altri soggetti e debiti detenuti in subordinati? La Grecia, in realtà, ha sì fatto default su 105 miliardi di euro ma dopo lo swap, tra nuovi prestiti e debito occulto – i famosi 107 miliardi di debito garantito di cui vi ho parlato più volte – si è caricata sulle spalle quasi il doppio di nuovo debito.
D’altronde, che l’operazione di concambio non fosse servita ad altro che a fare guadagnare qualche mese alla Grecia lo si era capito già all’inizio di marzo, quando i nuovi bonds ellenici pagavano rendimenti stratosferici ed erano trattati al 20% sulla parità, esattamente a 22 cents sul dollaro, segnale chiaro che il mercato sta attendendo un altro evento di credito e che il pasticcio combinato dall’Isda con i credit default swaps greci sta avendo pesanti ripercussioni. Ma questo i soloni che ora attaccano l’instabilità greca non ve lo dicono.
Già, cari lettori, il balzo dei rendimenti è dovuto in gran parte al fatto che quelle istituzioni caritatevoli e filantropiche delle banche hanno smesso di offrire prezzatura dei cds greci, poiché problemi tecnici legati alla documentazione per chiudere i contratti potrebbero forzare immediatamente gli eventuali pagamenti. Si tratta della cosiddetta 60-day-look-back-clause, una clausola inserita nei contratti cds standard e che può attivare un pagamento su nuovi contratti rispetto al credit event dichiarato il 9 marzo, quando la Grecia si assicurò la partecipazione del settore privato allo swap. Il nuovo bond scadenza 2042 viaggia in area 17%, con scatti del 3% di aumento tra il 12 marzo, primo giorno di contrattazione e il 20. Insomma, se non puoi usare cds per fare hedging sul debito greco, semplicemente non acquisti quelle obbligazioni o chiedi un premio di rischio altissimo.
L’ultima prezzatura dei cds greci risale al 9 marzo, quando per proteggersi da un detenzione di 10 milioni di debito greco si doveva pagare la cifra folle di 7,8 milioni di dollari. Markit, il provider di dati, disse chiaro e tondo che aveva bisogno di ricevere le prezzature dei cds da almeno tre banche globali prima di poter continuare a quotare. Detto fatto, il 20 marzo scorso Markit ha aggiornato il suo indice per i cds sovrani europei, il Markit SovX Western Europe Index, escludendo la Grecia e includendo al suo posto Cipro, mercato obbligazionario decisamente illiquido ma il più liquido tra gli eligibili, almeno fino al prossimo roll, previsto il 20 settembre, dopo il quale Atene potrebbe tornare a essere quotata.
Insomma, si mantengono sul mercato obbligazionario nuovi bonds senza protezione creditizia e senza quotazione del principale strumento di hedging! Una follia! Peggio, una farsa. La quale, però, proprio per questo carattere di opacità, quasi da bisca, sta attraendo l’interesse di molti fondi ed esperti nell’ambito del cosiddetto distressed-debt, il settore del debito a rischio, secondo cui il 21% offerto dai nuovi bonds greci è da preferirsi agli yield molto più bassi offerti da altri paesi traballanti e con medesimo rischio, come Venezuela e Argentina che prezzano, relativamente, l’11% e il 13%. «È il trade dell’anno», ha trionfalmente dichiarato al New York Times, Hans Humes, presidente di Greylock Capital, attivissimo nell’acquisto di nuovi bonds ellenici nel range compreso tra 19 e 25 centesimi sul dollaro. E Humes non è solo, visto che in questi giorni stanno raddoppiando loro acquisti di bonds greci anche Banco BTg Pactuel, la banca d’investimenti brasiliana, Finisterre Capital, fondo londinese specializzato in mercati emergenti e Brevan Howard, uno dei principali hedge funds europei: Dio volesse che andassero tutti a zampe all’aria con la loro bella carta igienica greca nei bilanci.
Insomma, lungi dall’aver salvato la Grecia, la si sta – giorno dopo giorno – tramutando ancora una volta nel luna park della finanza creativa e del debito fuori controllo, una bel casinò per avvoltoi assortiti e banche senza scrupoli. Tanto più che dall’economia reale arrivano segnali inquietanti. Nessuna capitale europea, ad esempio, ha tanti uffici vuoti come Atene e a prezzi ultra-competitivi. Lo afferma un’analisi di Bnp Paribas Real Estate, che nel suo rapporto sugli immobili per uffici in Europa spiega come il tasso di disponibilità ad Atene sia passato in un anno dal 15,5% al 20% (+4,5%), in conseguenza del declino degli affari causato dalla crisi. Uffici nelle migliori zone commerciali della capitale hanno un prezzo per l’affitto medio di 216 euro al metro quadro, contro i 264 dello scorso anno, un prezzo in linea con l’Aja, Bucarest e Lisbona. E, peggio ancora, le prenotazioni di turisti stranieri sono scese del 12,5% rispetto allo scorso anno, stando a dati della Airfastticket, con un crollo verticale dei principali visitatori della Grecia, quei tedeschi passati dal 15% di tutte le prenotazioni al solo 3% attuale. Se anche l’unica voce di entrata che aveva generato profitti negli anni della crisi, comincia a flettere, c’è poco da stare allegri.
Ma come dicevo fin dall’inizio, l’Europa intera è un focolaio, non solo un singolo Paese, per disgraziato che sia. A confermarci questo e la fallimentare politica di Mario Draghi è un altro dato allarmante emerso ieri, ovvero l’esplosione dello swap euro/dollaro a 3 mesi, ovvero la principale via di finanziamento in dollari a breve termine per le banche europee, schizzato ai massimi da quattro mesi: ovvero, le banche europee sono talmente disperate alla ricerca di dollari per chiudere posizioni che sono pronte a pagare premi assurdi. Mario Draghi continua a chiederci pazienza e di attendere fiduciosi gli effetti benefici delle aste Ltro per l’economia reale, nel frattempo però le banche raccattano liquidità a qualsiasi costo sul mercato degli swap e, purtroppo, anche in quell’inferno non regolamentato che è lo shadow banking system.
Non so quanto ci vorrà ancora ma temo poco, dopodiché la bolla esploderà davvero. Dalle sale trading giungono grida di dolore: i bonds spagnoli a 5 e 10 anni, quindi non investimenti aggressivi sullo yield a breve, non hanno domanda, segno che il rialzo dei ieri per i Bonos giunge in un mercato illiquido: le banche spagnole sono strapiene di bonds e non possono permettersi altri acquisti, vista anche la richiesta del governo di aumentare le loro riserve. Qualcuno parla di una possibile mossa della Bce, ovvero la riattivazione del programma Smp di acquisto sul mercato secondario, non prima che il Bonos decennale abbia raggiunto un rendimento del 6,25%: a quel punto, sarà rimbalzo e gioia per i traders ma non certo una soluzione per nazioni economicamente e finanziariamente morte.
Se infatti la Bce entrerà di nuovo in gioco, tutti tenderanno a tenere i bonds nei bilanci in attesa che il prezzo salga e si creino i presupposti per la best execution: nessuno, neppure le banche italiane e spagnole, vorranno vendere alla Bce in perdita. E nessuno che si trova posizionato short, poi, sarà così pazzo da voler combattere contro l’Eurotower. A quel punto sarà euforia, rimbalzone del gatto morto, spread in discesa e cds in contrazione. Euforia, la stessa che abbiamo visto riapparire ciclicamente in questi tre anni ogniqualvolta Bce o Fed hanno fatto qualcosa, salvo svanire nell’arco di due, tre settimane e lasciarci con gli stessi problemi. Anzi, più grandi.