Il “governo dei tecnici” di Mario Monti questa volta riserva una sorpresa. Si riunisce il consiglio dei ministri e, al posto di decretare nuove tasse, varare piani di liberalizzazione e semplificazioni al “ducotone”, emette un comunicato dal titolo “Governo, al via piano sociale per il Sud. Oltre 2,3 miliardi di euro dalla riprogrammazione dei fondi europei”. Segue un testo di tre paginette (tre) di una vaghezza sconcertante, in puro burocratese, o forse di matrice accademica per competenza dei “tecnici” estensori. Ben tre ministri si sono adoperati per questo programma: il ministro per la coesione sociale, Fabrizio Barca, il ministro per la cooperazione internazionale e l’integrazione, Andrea Riccardi, il ministro del Lavoro, Elsa Fornero. Sembra che il “governo dei tecnici” abbia finalmente scoperto che il Sud Italia è in difficoltà e quindi vuole una maggiore cura per l’infanzia e per gli anziani, nuove opportunità per i giovani insieme a interventi a favore delle imprese e più investimenti per la cultura. Dice il comunicato del governo che ci saranno stanziamenti anche per “integrazione della politica dell’istruzione contro la dispersione scolastica con azioni per la legalità nel territorio”. È un problema di non poco conto, di cui da anni si dibatte. Questi fondi riprogrammati riguardano sostanzialmente quattro regioni: Campania, Calabria, Puglia e Sicilia. La domanda che viene spontanea è: come si sono trovati questi fondi? Il comunicato è di una chiarezza burocratica da far invidia al linguaggio sulla consistenza della “materia oscura”: “De-finanziando interventi con criticità di attuazione, obsoleti o inefficaci”. Domani sarà sicuramente l’argomento dei discorsi al bar e nelle ore dello “struscio” delle città del Sud. Intanto, però, questa domanda se la pone anche Luigi Campiglio, docente di Politica economica, all’Università Cattolica di Milano.



Come si risponde a questa domanda?

Devo dire che nell’usare questi fondi le regioni meridionali non hanno di certo brillato in questi anni. E si può aggiungere che così come si trovano risorse tra le pieghe del bilancio italiano, si possono trovare anche tra le pieghe del bilancio europeo. Mi colpisce un poco la vaghezza del comunicato del governo e anche l’importanza degli obiettivi. Il problema, ad esempio, della dispersione scolastica, che esiste ed è gravissimo, non è che si risolve così, in qualche mese, con un po’ di stanziamenti. Bisognerebbe forse spiegare e scrivere in dettaglio i programmi in modo migliore, perché, se no, si lasciano sensazioni non piacevoli.



Quali, ad esempio?

I fondi di coesione europei sono quasi tutti ormai destinati all’Est. Ecco, non vorrei che qualcuno, vista la situazione che sta vivendo il nostro Paese, dove si sta male al Nord e quindi peggio al Sud, abbia fatto una trattativa con Bruxelles, con l’Europa, per trovare al più presto delle risorse in modo da attenuare la situazione di disagio. Queste operazioni, soprattutto con il Sud, bisogna farle molto bene, in modo chiaro e con grande competenza, altrimenti si rischia grosso. Il mio può essere un pensiero o una sensazione sbagliata. Ma nel momento in cui stiamo vivendo, da mesi, e si sente parlare di riprogrammazione di fondi, ci si chiede anche: ma perché non lo hanno già fatto da qualche mese, al posto di farlo solamente adesso?



Vede un Paese e un governo in affanno?

Ho sentito la dichiarazione di Corrado Passera, cioè di un ministro, ripeto di un “ministro”, non di una persona qualsiasi, di uno che passa per il corridoio di una banca o di una università, che dice: c’è disagio, a rischio la tenuta sociale. Dichiarazione che poi corregge. È una settimana che lo spread è ancorato ai 400 punti e cominciano a esserci sussulti politici dopo i risultati delle elezioni amministrative. Insomma, in tutto questo c’è qualche cosa che non quadra, anche se adesso arrivano degli aiuti alle regioni del Sud che erano ritenuti sempre problematici per la presenza sul territorio della malavita organizzata. Vorrei dire e ricordare, in conclusione, che qui non si tratta di tenere duro o arrivare alla fine della legislatura, qui si tratta di salvare l’Italia, il Paese da una situazione che è veramente grave.

 

Questo “governo dei tecnici” aveva portato tante speranze al momento del suo insediamento.

 

Sì. E spero che ce la faccia e possa riportare quelle speranze. Però, a mio parere, dovrebbe cambiare rotta di 180 gradi. Perché i risultati non sono affatto piacevoli. Sto guardando l’andamento del primo trimestre italiano e i numeri sono drammatici. Ho visto la politica del credito alle imprese. Non ho trovato un’impresa che chiede crediti, ma si ferma a ristrutturazioni del debito. Ora, vorrei far notare, che c’è una tempistica da rispettare. Non si può aspettare molto di fronte a una simile situazione. E questa linea di politica del governo finora non ha prodotto affatto buoni risultati. Io spero che ritrovino un filo di raziocinio per vedere di uscire da questa crisi.

 

In questo momento c’è molta sfiducia nel mondo delle piccole e medie imprese.

 

Come potrebbe essere altrimenti con il crollo della domanda interna? Molte imprese non solo sono in affanno, ma in ginocchio. E bisognerebbe ricordare a qualcuno che quando fallisce una di queste imprese è quasi come perdere un figlio. Salta per aria il lavoro di una vita. E non è che un’impresa fallisce e poi si riapre quando arriva di nuovo la crescita e il periodo buono.

 

Anche dall’estero non arrivano buone notizie. L’Europa tedesca predica rigore, austerità e sobrietà. Intanto la celebre banca JP Morgan ha fatto un buco di due miliardi di dollari.

 

In cinque anni non hanno cambiato nulla. Hanno fatto le stesse operazioni di finanza così complicate che è impossibile trovare il bandolo della matassa. E non si capisce come andrà nei prossimi mesi.

 

(Gianluigi Da Rold)