Urge un nuovo patto fiscale per evitare l’incancrenirsi della crisi e la rivolta del ceto medio. Le proteste sempre più violente contro Equitalia, la recessione, lo spesometro e l’Imu sono i tasselli di un mosaico preoccupante che si va componendo. Un mosaico peraltro contraddittorio. I governanti ci ammanniscono la tesi che lo squilibrio dei conti pubblici va sanato riducendo la spesa pubblica e aumentando gli incassi tributari, non solo spostando la tassazione dal reddito ai consumi e ai patrimoni, ma anche scovando l’evasione che è tuttora elevata.
L’evasione e la mancata riscossione si contrastano grazie alla Guardia di Finanza, all’Agenzia delle Entrate diretta da Attilio Befera e a Equitalia. Ma quando questi tre attori si muovono si colgono gli eccessi asfissianti del fiscalismo e dei controlli. Non tutti sono d’accordo, però, su questa asfissia. C’è chi, come il predecessore di Befera, l’ex direttore dell’Agenzia delle Entrate, Massimo Romano, dice invece che i controlli sono pochi su professionisti e piccoli imprenditori. Leggere per credere la rivista dalemiana ItalianiEuropei: “Con un po’ di ottimismo – secondo Romano, vicino a Vincenzo Visco – si può affermare che in Italia l’Amministrazione è in grado di effettuare annualmente 250mila controlli fiscali di tipo approfondito nei confronti delle società e delle attività di impresa e professionali”.
Ogni anno dunque, secondo i calcoli dell’ex direttore dell’Agenzia delle Entrate, il rapporto tra controlli eseguiti e soggetti (dichiarazioni) che dovrebbero essere controllati è di 1 a 20. In realtà, tale rapporto, ha scritto Romano, “è più basso per le grandi imprese, generalmente sottoposte a controlli relativamente frequenti, ed è sensibilmente più alto per le piccole imprese e i professionisti, molti dei quali non subiscono alcun controllo fiscale approfondito durante tutto il loro periodo di attività”.
“Stando così le cose – ha scritto Romano – ci si aspetterebbe che il sistema sanzionatorio sia oggi utilizzato per controbilanciare le limitate probabilità di un controllo. In realtà – sempre secondo l’ex direttore dell’Agenzia delle Entrate – le sanzioni sono, nella maggioranza dei casi, molto tenui, almeno quando si accettano le quantificazioni operate dall’Amministrazione a seguito del controllo”. Ecco le conclusioni di Romano: “Siamo attualmente, dunque, in un sistema nel quale la probabilità di essere controllati sono remote, almeno per le attività indipendenti medio-piccole, e l’entità delle sanzioni che si rischiano evadendo è generalmente alquanto modesta”.
Ma le preoccupazioni che lambiscono le istituzioni sono altre. Il combinato disposto dello spesometro, del redditometro e dell’accentuata tracciabilità dei pagamenti ha avuto, sta avendo e continuerà ad avere un indubbio effetto positivo: l’assottigliarsi dell’economia in nero. Un risultato positivo, certo. Però, oltre a considerare questa apprezzabile ricaduta sistemica, si deve tenere anche conto di un altro effetto indotto, che ormai non è da ritenere solo potenziale ma reale. L’effetto già in atto è quello di una riduzione dei consumi, provocata certamente dalla recessione, ma non soltanto dalla recessione. Ciò è anche frutto di un altro fenomeno poco analizzato finora: la ritrosia a usare contante preferendo forme di accumulazione extra bancaria ed extra finanziaria.
In altri termini lavoratori autonomi, piccoli e medi imprenditori e professionisti hanno un timore che va evitato: che i maggiori redditi che possono emergere dal combinato disposto di spesometro, redditometro e tracciabilità accentuata possono essere considerati tali anche per il passato, esponendosi quindi a richieste inusitate da parte dell’Erario. “Per questo – dice Gianfranco Conte, presidente della Commissione Finanze della Camera – ritengo che sia opportuno discutere, non solo tra gli addetti ai lavori ma anche tra istituzioni e contribuenti, di una proposta che punti a una sorta di programmazione fiscale”. Il presidente della Commissione Finanze pensa a un accordo tra Stato e cittadini che possa mirare a una “emersione accompagnata” di consumi e redditi. “Ciò – spiega Conte – allo scopo di tutelare il contribuente da eventuali e retroattivi interventi del fisco per i redditi dichiarati in passato, prima quindi che quel combinato disposto composto da spesometro-redditometro-tracciabilità esplicasse gli effetti”.
Beninteso, aggiunge il presidente della Commissione Finanze della Camera, “non è in alcun modo una richiesta palese od occulta di pensare a una forma di condono, ma piuttosto un patto chiaro ed esplicito fra fisco e contribuente che possa stabilizzare l’emersione del sommerso senza penalizzare lavoratori autonomi e imprenditori scongiurando forme di rivalsa verso il passato che possono ulteriormente nuocere alla già asfittica crescita italiana”.