Giusto Moody’s ci mancava. Ovviamente, manco a farlo apposta, ha scelto il momento migliore per declassare 26 istituti di credito italiani. La Grecia sprofonda, l’euro rischia di crollare, il governo italiano non sa più che tasse inventarsi per far quadrare i conti, la disoccupazione è a livelli record, il Pil marca segno negativo da tre trimestri e molte imprese chiudono. La situazione è sconfortante. Va detto che il vento, a livello europeo, sta cambiando: c’è la consapevolezza del fallimento delle politiche di austerity umilianti imposte alla Grecia, mentre la recente disfatta merkeliana e la vittoria di Hollande aprono uno spiraglio per l’introduzione di una strategia per la crescita; nel quale, si sarebbe potuto infilare anche l’Italia. Se, con sadica puntualità, l’agenzia di rating Usa non si fosse messa di mezzo. Rocco Corigliano, professore di Economia degli intermediari finanziari presso l’Università di Bologna, spiega a ilSussidiario.net le conseguenze del downgrade. «Va detto, anzitutto, che il declassamento non sorprende. Era nell’ordine delle cose. Il peggioramento della congiuntura economica e dei fattori di rischio sul debito suggeriscono che il rischio nell’attività creditizia possa aumentare».  



Nel merito: «Le ragioni del downgrade sono legate all’esposizione della banche nei confronti del sistema produttivo delle imprese che, proprio a causa della congiuntura negativa, non si riprenderanno nell’immediato e aumenteranno il loro rischio di insolvenza». Se aumenta il rischio di insolvenza delle imprese, aumentano i rischi per le banche. «Da qui, il downgrade». E adesso, che succede? «Le banche, già in difficoltà ad approvvigionarsi sui mercati internazionali, dato che gli altri istituti sono poco inclini a finanziarle, avranno nuove complicazioni. Meno liquidità, quindi, a tassi più elevati». L’ulteriore conseguenza, sembra una beffa: «Le imprese, a questo punto, avranno ancora meno accesso al credito». Ciò detto, va fatto un ragionamento sui tempi e sui modi di emissione di tali giudizi. «Mi sembrano, date le circostanze, eccessivi e fuori luogo. Valutare negativamente la rischiosità delle banche in un momento in cui sono fondamentali per risollevare la situazione del Paese, non ha senso. A questo punto, mi sembrerebbe necessario non dargli peso eccessivo». Non solo: «Va individuata una soluzione a livello europeo. «Le agenzie, pur continuando a fare il loro mestiere, dovrebbe avere una certa sensibilità politica e tenere a mente, in maniera debita, gli effetti che possono provocare. In questo, le autorità europee potrebbero incidere, sulla scorta di quando ha fatto la Consob convocando i vertici italiani di Moody’s».



Si tratterebbe di un’operazione del tutto legittima. «Tanto più che la proprietà delle tre principali agenzie da parte di fondi d’investimento internazionali, gli stessi che beneficiano degli orientamenti dei mercati suscitati dalle valutazioni delle agenzie, solleva più di un dubbio circa la presenza di esagerati conflitti d’interesse». La mossa fondamentale, tuttavia, è un’altra. «E’ necessario – dice – istituire un’agenzia di rating europea. Che non sia privata o che, quantomeno, abbia una sensibilità pubblica. In sostanza, dovrà essere un organismo sopra le parti, emanazione delle istituzioni comunitarie». 



Secondo il professore, «si tratta di una soluzione indispensabile. Non possiamo lasciare la valutazione del rischio degli emittenti europei esclusivamente a tre società che, per quanto prestigiose, sono pur sempre americane; e che, del resto, sono tutt’altro che infallibili. Ricordiamo, tra gli altri, i giudizi positivi che diedero, poco prima del suo fallimento, a Lehman Brothers». E perché, allora, in Europa niente si smuove? «Le istituzioni sono distratte a tal punto dall’infinità di problemi (effettivamente esistenti), che non è finora stato possibile coagulare le volontà e unire gli sforzi in tal senso».

 

(Paolo Nessi)