Il 17 giugno i cittadini greci torneranno alle urne: ieri è stata ufficializzata la data delle nuove elezioni che arriveranno a poco più di un mese dalle precedenti. I timori che possano uscirne rafforzati i partiti che intendono ridiscutere i tagli e l’austerità imposti dall’Europa crescono. Così come le possibilità che Atene abbandoni l’euro, nonostante i leader europei, da Angela Merkel, a Francois Hollande, fino al presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, continuino a dichiarare come loro obiettivo quello di tenere la Grecia dentro l’unione monetaria. Abbiamo chiesto a Paolo Savona, economista e Presidente del Fondo interbancario di tutela dei depositi, di aiutarci a decifrare questa difficile situazione.



Tenendo anche conto delle ultime votazioni europee, con l’elezione di Francois Hollande che ha già incontrato Angela Merkel, c’è secondo lei la possibilità di far uscire l’Europa dalla crisi? A quali condizioni?

Le possibilità che sia l’Europa a trovare la via di uscita sono minime. Può però renderla meno difficile se autorizza la Banca europea per gli investimenti (Bei) a emettere project bond per lanciare un piano di investimenti infrastrutturali. Bisogna però aumentare il capitale della Bei e questo comporta per l’Italia un esborso di 10 miliardi euro. L’Ue deve autorizzare a non considerare questo esborso un aumento del deficit di bilancio, ma l’accensione di un attivo di bilancio, data la solvibilità della Bei.



Negli ultimi giorni si è tornati a parlare di un’uscita della Grecia dall’euro. La ritiene un’ipotesi plausibile?

La ritengo possibile, ma non probabile, perché la Germania è il Paese che beneficia di più dell’euro, dato che non è costretta a rivalutare la sua moneta nonostante un surplus di bilancia estera superiore a quello della Cina, e quindi, se intende tutelare i suoi interessi, deve aiutare la Grecia. Salvo non valuti che l’uscita della Grecia non abbia effetti sulla tenuta dell’euro. Se ci provassimo sarebbe un bel test per tutti, Italia compresa.

Si dice che i Trattati non prevedano l’opzione dell’uscita di un Paese dall’euro. Se è così come farebbe la Grecia a tornare alla propria moneta nazionale?



I Trattati internazionali possono essere sempre revocati, anche se non lo prevedono. Gli Stati Uniti uscirono dall’Accordo di Bretton Woods che avevano creato e che aveva dato all’Occidente uno sviluppo eccezionale. Eppure lo fecero per liberarsi dell’obbligo di convertire il dollaro in oro. Fu un default vero e proprio che il mondo “ha perdonato troppo in fretta”, come ha perdonato troppo in fretta la Germania.

 

All’Italia converrebbe uscire dall’euro?

 

Se l’Ue non modifica le condizioni di operatività della Banca centrale europea, allargando le sue competenze ai titoli di Stato e al rapporto di cambio e assegnando a essa il compito di collaborare per lo sviluppo (tutte cose che già sta facendo, ma per iniziativa del suo vertice, non per dovere statutario!), e non decide una politica compensativa per le aree svantaggiate dalla natura non ottimale dell’eurozona, allora conviene uscire dall’euro. Ma ciò deve avvenire preparandosi a farlo, altrimenti i danni sarebbero incalcolabili. Invece, si persiste nel rifiuto di solo parlarne e, quindi, potremmo essere costretti a farlo, non a farlo su nostra iniziativa potendone governare il processo.

 

Se i benefici di un’uscita dall’euro per l’Italia fossero maggiori dei costi, quanto tempo ci vorrebbe perché i primi superino i secondi?

 

La scelta sarebbe in ogni caso di lungo periodo. L’alternativa è tra pagare i costi un pezzo all’anno, con conseguenze sociali e politiche gravi, oppure pagarli in una sola volta e trovarsi in tre-cinque anni in una situazione migliore. Il vantaggio sarebbe per le esportazioni e il costo sarebbe l’inflazione. Lo Stato dovrebbe cedere risorse ai privati, tagliando le spese.

 

Quali sarebbero i passaggi che ci porterebbero dall’euro alla lira?

 

Se si riferisce ai passaggi tecnici, i più importanti sono il tasso di conversione dall’euro alla nuova lira e la ridefinizione del valore dei titoli di Stato in circolazione. A seguire ci sarebbe la definizione della nostra posizione nell’area non-euro del mercato comune. Il passaggio politico richiede invece un decreto legge, da convertire in Parlamento.

 

(Lorenzo Torrisi)