La visita del premier Mario Monti alla direzione centrale di Equitalia non si è svolta in un clima di “entusiasmo caloroso”. Per ricordare le vecchie formule goliardiche, aggiungiamo pure che “non c’era un’allegria sfrenata”. Alla fine, la sensazione era che il leader del “governo dei tecnici” abbia fatto un atto dovuto, probabilmente su richiesta del direttore generale, l’incravattato e compunto Attilio Befera, che lo aspettava all’entrata dell’edificio. Poi parole piuttosto scontate: pagare le tasse è un dovere; un fisco più efficiente e meno intrusivo. Dietro la facciata, “Pot bouille”, per ricordare un celebre romanzo di Emile Zola, si dice che si stia discutendo magari di abbassare l’aggio, di allungare le rateazioni. L’economista Carlo Pelanda, su queste pagine ha proposto un condono fino al 2010, sapendo bene di scandalizzare i moralisti di tutti i tipi.



Ma se è indubbio che pagare le tasse sia un dovere, quando sono eque, se è indubbio che gli atti di violenza nei confronti dei dipendenti di Equitalia sono intollerabili, bisognerà pure che il “governo dei tecnici” e la stessa Equitalia si rendano conto di non godere di grande popolarità in questo momento di crisi economica, e soprattutto di rappresentare, proprio in questo momento, un caso dirompente, un punto di rottura nel rapporto di credibilità tra Stato e cittadini. Su questo punto di rottura concorda il professor Ugo Arrigo, docente di Finanza pubblica all’Università Bicocca di Milano.



Lei ha voglia di fare un po’ le pulci a questa agenzia di riscossione?

Beh, direi proprio di si. Vista come il prodotto di una riforma, Equitalia è una di quelle classiche riforme fatte dagli italiani che sono in grado di peggiorare il peggio. Se tutti i pasticcioni del mondo si ispirassero alle nostre riforme e ci riconoscessero delle royalties, riusciremmo ad azzerare velocemente il debito pubblico.

Mi pare che non sia neppure d’accordo sul nome, su “Equitalia”.

In effetti, farei volentieri ricorso a una “Authority” perché si tratta di pubblicità ingannevole. A me “Equitalia” ricorda di più gli equini che i tributi. Ma poi che c’entra con l’equità? La riscossione delle tasse, per conto dello Stato, è equa se le tasse sono eque, se le tasse sono inique, Equitalia non garantisce più equità. Fanno i riscossori.



Ma come si è arrivati a formare, a creare Equitalia?

Erano società private di riscossione, che Giulio Tremonti ha nazionalizzato. Erano di proprietà di enti bancari. Il fatto che incuriosisce è che sono state nazionalizzate, ma con tutta probabilità i dipendenti di Equitalia (diventata un monopolio pubblico di riscossione dei tributi) hanno un contratto come quello dei bancari, che è certamente migliore e più costoso di quello dei dipendenti pubblici, di quelli che lavorano all’Agenzia delle Entrate. Non si capisce, ad esempio, perché Tremonti non abbia lasciato ai dipendenti dell’Agenzia delle Entrate il compito di riscuotere le tasse. Per quale ragione ci sono due cose diverse?

Ma la stessa struttura di Equitalia desta qualche perplessità. È una spa (tipica figura privatistica) controllata dallo Stato attraverso le partecipazioni dell’Agenzia delle Entrate e dell’Inps.

Un obbrobrio che mette insieme il peggio del pubblico e del privato. In tutti i casi a me interessa sapere se, ad esempio, essendo Equitalia nazionalizzata, è controllata dalla Corte dei Conti. L’aggio di Equitalia è registrato alla pubblica amministrazione? Che cosa dice al proposito la Corte dei Conti?

 

L’aggio è molto alto.

 

Credo che serva a pagare lo stipendio dei dipendenti, che probabilmente hanno il contratto da dipendenti bancari, che costa un 50% in più rispetto a quello dei dipendenti statali. Insomma, sono riusciti a creare una nuova struttura statale con dipendenti ed entrate privatistiche.

 

E con poteri incredibili, che inevitabilmente la rendono impopolare.

 

In questo momento se paragoniamo Equitalia allo Sceriffo di Nottingham, quest’ultimo era più ben voluto nel contado. Ci sono una serie di episodi relativi alle azioni di Equitalia che hanno dell’incredibile. È avvenuto pure che da una multa di poche decine di euro si arrivasse a qualche migliaio, fino alla ipoteca di una casa. È un fatto avvenuto a Genova qualche tempo fa. Ma gli episodi sono numerosi. Poi c’è la giustizia in materia tributaria che ha indirizzi dal ministero del Tesoro e quindi il pm è la stessa cosa del giudice.

 

Che cosa bisognerebbe fare?

 

Innanzitutto bisognerebbe mantenere i principi di una civiltà giuridica democratica, di stato di diritto, che si basa sul concetto di avere rispetto della legge, che ha però il dovere di essere una legge equa. Poi si dovrebbe creare un’Autorità fiscale indipendente che risponde solo al Parlamento. Dovrebbe essere questa Autorità a trasmettere gli accertamenti.

 

Lei pensa che su Equitalia si arriverà a un punto di rottura?

Guardi, pensi ai greci in questo momento drammatico. Hanno cercato di inserire e far pagare l’Imu sulla casa, infilandoglielo nella bolletta della luce. Il risultato è questo: i greci hanno smesso di pagare anche la bolletta della luce. Un punto di rottura arriva inevitabilmente. E con Equitalia siamo su questa strada. Il ponte era già barcollante. Ora, con l’aumento della pressione fiscale, abbiamo messo altri pesi su un ponte barcollante. Alla fine il ponte crollerà.

 

Tutto questo si riflette in una situazione economica e finanziaria già drammatica.

 

Noi siamo a due anni da una situazione come quella greca. Anzi, se lei mi chiede: quando arriviamo a essere come la Grecia? Io le rispondo che ci arriviamo con le elezioni politiche del prossimo anno.

 

(Gianluigi Da Rold)