Il professor Ugo Arrigo risveglia la memoria degli italiani, che in genere sembrano sempre smemorati. Docente di Scienza delle Finanze all’Università Bicocca di Milano, spiega che la spending review fu istituita il 30 marzo del 1981 (trentuno anni fa) e sospesa due volte dal ministro Giulio Tremonti in questo ultimo decennio. È una puntualizzazione importante, perché in quel lontano 1981 c’era un governo Forlani, sorretto dal pentapartito della “prima repubblica”. La spending review non è quindi una scoperta del “governo dei tecnici”, come pare leggendo la grande stampa di oggi. Ci sono però grandi differenze. Fa notare Ugo Arrigo che in quel tempo (ormai si può dire così) la spesa pubblica totale era il 42% del Pil (è stata il 49,9% nel 2011), la pressione fiscale era al 31% (oggi è al 45%), il debito pubblico era al 56% del Pil, mentre oggi siamo al 120,1%. E il Pil era cresciuto nel 1980 del 3,1%, mentre oggi viviamo un 2012 che dovrebbe registrare, secondo l’Ocse, un -1,9%.
Professore, dopo la lunga riunione di ieri del Consiglio dei ministri, si prevede che con la spending review ci siano 295 miliardi di uscite che vengono definite “aggredibili”, cioè che si possono ridurre o eliminare, ma il taglio previsto per il 2012 sarebbe di 4,2 miliardi. Che ne pensa?
Mi pare che vogliano recuperare una briciola, una briciolina. Quanto alle uscite “aggredibili”, io faccio una stima differente, molto differente. Mettiamo da parte le spese per il Welfare e le pensioni, che sono tra l’altro già state riformate. Se lei mette insieme tutte le spese per i servizi, i consumi intermedi e le varie voci, ci si può rendere conto che la spesa “aggredibile” arriva a 400 miliardi.
Com’è possibile questa differenza?
Guardi, inutile soffermarci su singole voci. Facciamo solo un esempio: una siringa, in una Asl, può costare da 1 a 10 euro, a secondo di come funziona la sanità in una regione. Tenga conto poi che in questa massa di spesa pubblica ci sono domande collettive, ma anche domande che non lo sono affatto. A conti fatti, secondo la stima che faccio, la spending review programmata per quest’anno taglierebbe l’1%. Mi sembra un risultato più che modesto, per usare solamente un eufemismo.
C’è anche una questione di tempi, che probabilmente va considerata. Dopo 31 anni di studi, a maggio del 2012, si arriva a un Consiglio dei ministri sulla spending review.
Sì, è una tempistica piuttosto speciale. Prima si è tassato tutto quello che era possibile tassare, poi si guarda se nei capitoli di spesa ci sono errori o inefficienze. Una tempistica veramente speciale. Qualsiasi azienda in difficoltà cosa fa in genere? Guarda complessivamente i suoi bilanci, guarda dove ci sono gli errori, le inefficienze, le troppo spese. Insomma, guarda nel suo insieme e cerca di razionalizzare in modo funzionale, con coerenza. Qui si è scelta invece la politica dei due tempi. Gli errori e le inefficienze si vanno a cercare dopo.
Tutto questo avviene mentre nel Paese comincia a diventare insopportabile la pressione fiscale. E ci sono i primi messaggi, vengono da alcuni comuni, anche da diverse forze politiche, di rivolta fiscale. Il premier ha risposto stigmatizzando taluni comportamenti e ha detto che abolire l’Ici è stato un errore.
Evidentemente il professor Monti non si accorge che la pressione fiscale sta diventando intollerabile. Occorre mettere accanto a questa pressione fiscale le spese che una famiglia deve affrontare per vivere dignitosamente. Quindi tutte le tasse indirette, le accise sulla benzina, le bollette di luce e gas, le spese di trasporto. Si capisce facilmente perché secondo alcune analisi e alcuni dati la metà degli italiani appartiene ormai a una classe sociale definita bassa. Qui è stata letteralmente bruciata la classe media. Per quanto riguarda l’Ici, il modo che scelse Tremonti di abolirla fu sbagliato. Ma una tassa sulla propria casa di abitazione è altrettanto errata.
Forse c’è una nuova interpretazione di tassare i cittadini.
Non lo so. Ci sono due modi di tassare i cittadini, di valutare la loro capacità contributiva. Il primo è quello dello Stato assolutista che mette mano dove vuole. Il secondo è quello di uno Stato democratico, che ritiene che la capacità contributiva sia quella eccedente ai fabbisogni essenziali di una vita dignitosa dei cittadini.
Ritorniamo alla spending review. È stato nominato Enrico Bondi, il risanatore di Parmalat, l’uomo che taglia e aggiusta. Che ne pensa?
Credo che sia una persona brava e capace. Il problema è che ha operato nel settore privato, dove per rimettere a posto le cose si deve guardare all’interesse e ai profitti degli azionisti di un’azienda. Ma il settore privato non c’entra nulla con quello statale, perché in questo caso gli azionisti sono i politici e i capitoli di spesa sono i profitti dei politici. È come voler mettere a dieta un orso di fronte al miele. L’orso, il miele continuerà a mangiarlo. Mi sembra che con questo tipo di Stato e in questo tipo di situazione una dieta nella spesa pubblica sia poco prevedibile.
(Gianluigi Da Rold)