E’ arrivata, finalmente, la circolare del ministero dell’Economia che dovrebbe chiarire una volta per tutte le modalità di pagamento della famigerata Imu. Che, oltre ad essere famigerata, è aggravata da una miriade di nebulosità e difficoltà di decifrazione tali da renderla particolarmente odiosa. Come se per lo Stato appesantire i cittadini di un cospicuo fardello fiscale non fosse sufficiente; deve pure rendergli complicato il pagamento. Peccato che la circolare – spiega a ilsussidiario.net Claudio Santarelli, avvocato esperto della proprietà immobiliare e di diritto delle locazioni -, benché precisi alcune criticità lasciate in sospeso, non ne affronti molte altre.
Nessuna novità significativa. Le aliquote base restano dello 0.4% sulle prime case e dello 0.76% sulle seconde, aumentabili o diminuibili dello 0,2% dai Comuni mediante appositi decreti attuativi.
La prima va pagata entro il 18 giugno e corrisponderà al 50% dell’aliquota base. Questo perché la maggior parte dei Comuni non hanno ancora deciso quanto far pagare. La seconda è opzionale, e viene pagata a settembre, mentre entro il 17 dicembre si farà il conguaglio.
Si parla sempre delle seconde case o della case di città. Ma la normativa prevede anche l’applicazione ai terreni agricoli non coltivati – posseduti da coltivatori diretti o da imprenditori – che vengono rivalutati del 25%. C’è da chiedersi, quindi, cosa ne sarà di quei terreni lasciati a bosco o ceduti in comodato. In quel caso, benché il pagamento tocchi al proprietario, non è escluso che sorgeranno domande e contenziosi sulla possibilità di caricare almeno una quota del pagamento su chi, magari gratuitamente, usufruisce del terreno pur non possedendolo.
Laddove due coniugi si separino, potrebbero verificarsi casi anomali. Se, per esempio, la proprietà non viene attribuita a chi dei due effettivamente usufruisce della casa, ma resta divisa al 50%, chi dovrà pagare l’Imu? Il coniuge che, infatti, non vive più nell’abitazione, si troverebbe privato persino delle detrazioni previste sulla prima casa. Va da sé che, non vivendoci, non sarebbe più la sua prima abitazione. Se la casa coniugale fosse ancora in comproprietà, quindi, sono prevedibili liti.
E’ prevista una riduzione del 50%. Tuttavia, per ottenere la certificazione, non è chiaro cosa sia necessario fare. Una dichiarazione al Comune? E’ forse necessaria una dichiarazione del ministero dei Beni artistici e culturali? O una dichiarazione di monumentalità? Sappiamo bene che la Sovrintendenza non è così veloce nell’effettuare certe determinazioni. Ci potrebbero essere, del resto, palazzi nei centri delle grandi Città di enorme valore e che, al contempo, garantiscono enormi ricavi perché affittati.
– Si tratta delle cantine, delle mansarde, delle soffitte o dei magazzini; mi domando quanti di questi siano stati convertiti a uso abitativo e, contemporaneamente, siano stati riaccatastati. C’è la necessità di un accertamento che dubito si possa fare in tempi rapidi.
Se la seconda casa viene data al figlio, non è sufficiente che questi vi risieda e vi abiti perché spetti a lui il pagamento dell’Imu. Continuerà a spettare ai genitori. A meno che il figlio non ne acquisisca l’effettiva proprietà o possa vantare effettivi diritti quali l’usufrutto. Si tratta di operazioni che richiedono anni.
(P.N.)